
Potremmo anche vederla come una prima apertura, un atteso cambio di prospettiva sul tema dell'accoglienza, ma restano troppe perplessità rispetto al modello complessivo di accoglienza.
Paolo Zanella, 11 dicembre 2025
Bene il riconoscere che non basti rispondere solo ai bisogni materiali, ma che le persone richiedenti protezione internazionale necessitino anche di interventi finalizzati all'integrazione, dai corsi d'italiano, alla formazione e inserimento lavorativo fino alle risposte al fabbisogno abitativo. Bene che lo si faccia attraverso una co-progettazione con gli enti del terzo settore. Il problema è che si pensa a un modello di integrazione esclusivamente strumentale al fabbisogno lavorativo del territorio.
Lo leggiamo a chiare lettere nell'accordo Fugatti - Piantedosi sul CPR, parole riportate nella relazione del Presidente sul bilancio: "puntiamo a ridurre gradualmente del 50% il numero di migranti ospiti nei centri di accoglienza straordinaria, mantenendo sul territorio prioritariamente i nuclei monoparentali con minori e coloro che hanno concrete prospettive di inserimento nel mercato del lavoro". Un modello di integrazione esclusiva - a favore di poche selezionati - ed escludente - che lascia gli altri per strada.
Ridotte le persone richiedenti protezione internazionale da 1500 a 750 e concentrate in città, ora le si vuole ridurre a 400, selezionate secondo quanto sono performanti, alle quali dedicare - almeno a loro - percorsi di inserimento socio-lavorativo-abitativo. Ecco, se non si ampliano - o almeno non si tagliano - i posti in accoglienza previsti dal protocollo d'intesa con il Commissariato del Governo, che garantiscono i minimi bisogni materiali a carico dello Stato (di fatto vitto e alloggio), le misure di inclusione aggiuntive servono a pochi e diventeranno un nuovo strumento discriminatorio verso chi avrebbe diritto a una pari accoglienza, in quanto richiedente asilo, e invece si vedrà costretto a dormire sotto un ponte, privo di tutto. E questi aumenteranno, perché i flussi migratori della via Balcanica non si arrestano di certo restringendo i posti.
L'evoluzione del modello Fugatti risponde alle pressioni del mondo imprenditoriale - ai quali è bene si dia risposta dando al contempo opportunità lavorative alle persone migranti - ma lo fa aumentando al contempo le persone che resteranno sotto i ponti, così da continuare ad alimentare marginalità sulla quale costruire la sua narrazione securitaria.
Un colpo al cerchio e due alla botte.