Accordo sul Cpr, con i tagli all’accoglienza cresce il rischio marginalità. «Temiamo 300 persone in strada»

Il taglio ai posti in accoglienza, previsto all’interno dell’accordo tra Provincia e Ministero dell’Interno per la realizzazione del Cpr, rischia di creare un’emergenza sulle strade di Trento, aggravando la situazione in città. Lo dicono i numeri, ma anche gli esperti del settore, come Daniele Danese, coordinatore del Centro Astalli del Trentino, che bocciano i contenuti del patto firmato da Fugatti e Piantedosi.
Trento, 27 ottobre 2025

Secondo chi si occupa di migrazioni e accoglienza, questo accordo rischia di produrre altre 2 o 300 persone lasciate ai margini della città, che si vanno ad aggiungere alle circa 150 che già si trovano in questa situazione.

Come funziona il sistema

Per comprendere le motivazioni di questo bisogna spiegare come funziona il sistema di accoglienza in Trentino. Il contenuto dell’accordo e le parole di Fugatti e Piantedosi venerdì lasciavano intendere che con la diminuzione arriveranno meno migranti in Trentino, come se i richiedenti asilo che arrivano in provincia fossero portati qui su autobus, magari dopo essere sbarcati sulle coste di Lampedusa o della Sicilia.
Nulla potrebbe essere più lontano dalla realtà. I migranti, in questo momento provenienti prevalentemente da Marocco, Siria, Afghanistan e Pakistan, arrivano in Trentino attraverso la rotta balcanica. Per questa rotta il punto di arrivo in Italia è Trieste. Solo una parte dei richiedenti asilo però formalizzano lì la loro domanda di protezione internazionale, quel grande fiume di persone si separa in tanti rivoli e la destinazione finale dipende da più fattori: le opportunità di lavoro o dei legami familiari o di amicizia con persone già sul territorio.

La situazione a Trento

Una parte di questi richiedenti asilo quindi punta su Trento. Sono circa 80-100 al mese. Un numero costante nei mesi e negli anni, nonostante i vani tentativi di respingimento attuati dall’Italia e dall’Unione europea. Dopo aver superato i muri della rotta balcanica, per queste persone inizia un’altra dolorosa corsa a ostacoli. La prima cosa che fanno è presentare al Cinformi la manifestazione di volontà a fare domanda di protezione internazionale. Per legge già a questo punto avrebbero diritto a essere accolti nei percorsi di accoglienza in attesa che la loro domanda venga valutata, ma non è così. Dopo un’attesa media di 10-15 giorni si recano in Questura a formalizzare la domanda. Da questo momento devono aspettare 2 mesi per poter lavorare, dovrebbero essere già inseriti nei percorsi di accoglienza e invece rimangono fuori. In media l’attesa per entrare nel sistema di accoglienza è diventata di 1 anno e 4 mesi. Un lasso di tempo enorme in cui le condizioni psicofisiche di queste persone precipitano, con il rischio che siano compromesse quando vengono finalmente accolte, e con la marginalità che può portarle verso la micro-criminalità. Al momento ci sono 120 persone in lista d’attesa allo sportello di Astalli.
A causare questa situazione sono due fattori: il taglio ai posti in accoglienza e poi l’emergenza casa che ha fatto sì che persone dentro ai percorsi di accoglienza, ma pronte a uscirne perché hanno trovato un lavoro, non riescano a farlo perché non trovano un appartamento.

Situazione esplosiva

In questo contesto un ulteriore taglio ai posti in accoglienza rischia di essere un fiammifero lanciato in un bidone di benzina. Secondo chi si occupa del fenomeno il rischio è di avere «200 o 300 persone in più in strada», dice Daniele Danese di Astalli, un numero con cui concorda anche un funzionario provinciale che si occupa del fenomeno. Del resto le persone arrivano autonomamente, non vengono portate qui. Tagliare i posti non significa far diminuire gli arrivi. Solo abbandonarli alla marginalità.

«Provincia inadeguata»

Un’analisi che porta le associazioni e gli enti occupati nell’accoglienza a bocciare il piano di Fugatti e Piantedosi. Per Mirko Montibeller, direttore di Atas Onlus, il problema nasce da un sistema ormai al collasso: «Essendo rimasta l’unica modalità di accesso prevista in Italia la richiesta spontanea di asilo, il sistema collassa. Ridurre i posti in accoglienza rende la società meno accogliente, concentra le persone in città e aumenta la percezione di insicurezza». Secondo Montibeller, «anziché gestire con intelligenza il fenomeno, si sceglie di tamponare con la propaganda della sicurezza attraverso i Cpr, che sono pochi e non incidono sui problemi reali». Il direttore di Atas aggiunge: «Da trent’anni lavoriamo nell’accoglienza e sappiamo cosa funziona. Qui si va nella direzione opposta: l’accoglienza è un beneficio per tutti, i Cpr vanno invece a danno di tutti». Anche Stefano Graiff, presidente del Centro Astalli, giudica negativamente le misure annunciate: «Il tema vero è il taglio incomprensibile dei posti in accoglienza. Il Cpr è usato ad arte per sviare l’attenzione dall’obiettivo reale». Secondo Graiff, la giunta provinciale «punta al consenso e alla propaganda anziché migliorare la situazione e governarla», una scelta che «peggiorerà la situazione e graverà sui servizi sociali». Graiff evidenzia inoltre la contraddizione con le richieste del mondo economico: «Mentre Confindustria, Confartigianato e Coldiretti chiedono manodopera, la Giunta alza muri. Non hanno idea di come costruire il Trentino del domani».

Dalla prospettiva degli operatori di strada, Mattia Civico del Punto d’Incontro racconta le conseguenze già visibili: «Negli ultimi anni sono raddoppiate le presenze al Punto d’Incontro. Molti sono richiedenti asilo che non riescono ad accedere all’accoglienza e restano in strada anche per due anni». Una situazione che, spiega Civico, «alimenta angoscia, rabbia e violenza» e mette a rischio anche chi lavora nei servizi sociali. «Con il nuovo Cpr e la riduzione dell’accoglienza – afferma – non saremo più sicuri. Crescerà il numero delle persone in strada, senza progetto e senza controllo. Questo non produrrà più sicurezza, ma più marginalità e più disperazione».

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