Pare che la carenza di infermieri - ma non solo - stia arrivando al culmine, in gran parte a causa del raggiungimento della gobba pensionistica che si somma alle dimissioni degli ultimi anni e ad assenze a vario titolo (fortunatamente anche per gravidanze).
Paolo Zanella, 19 settembre 2025
Oltre alla paventata chiusura di 10 posti letto nell'ospedale di Cavalese, sembra che altri ospedali abbiano problemi per la copertura degli organici, in particolare infermieristici, e che quindi si pensi di chiudere posti letto, mentre sembra che siano già chiusi alcuni posti in Rianimazione al S. Chiara per carenza di personale.
A ciò si aggiungono i posti letto aperti solo sulla carta, ma nei fatti chiusi, come 6 dei 17 posti di cure intermedie di Tione o i posti in sub intensiva dell'ospedale di Arco da poco realizzati.
Intanto, mentre non si ha il personale per coprire i posti letto esistenti - tanto che si pensa di chiuderne alcuni - e nemmeno per aprire i nuovi servizi già realizzati, si continua imperterriti a edificare insensatamente posti di sub intensiva chirurgica a Cles e si avviano lavori per la realizzazione di 32 posti letto di degenza convertibili in posto di area critica a Rovereto (posti sottratti alla Geriatria), mentre si realizzano gli Ospedali di Comunità che non si sa con quale personale verranno aperti (per le Case della Comunità, per come (non) sono state pensate, non servirà nuovo personale, visto che saranno solo banali aggregazioni di servizi esistenti).
I dati ISTAT parlano di un aumento dei ricoveri del 2% nel 2024 rispetto al 2023 e giustamente il Presidente dell’Ordine dei Medici attribuisce il fenomeno all’invecchiamento della popolazione con conseguente aumento dei bisogni. Andrebbero certamente implementati i posti letto di Cure intermedie, quindi gli Ospedali di Comunità, e potenziate le cure domiciliari, peccato che questi contesti siano a gestione prevalentemente infermieristica e in questo momento i professionisti più carenti siano proprio gli infermieri (ne mancano circa 500 in Trentino), in un Paese dove il rapporto infermieri/ medici è già di per sé storicamente sbilanciato: 1,5 infermieri ogni medico rispetto a una media Ocse di 2,6 infermieri per medico.
A fronte di questa carenza di infermieri che si rischia di affrontare quando i buoi sono ormai scappati, pare che la scelta sia tra due opzioni: da una parte chiudere alcuni posti letto, riducendo l'offerta in un momento in cui la domanda aumenta - in generale per l’invecchiamento della popolazione e nella contingenza per l’approssimarsi dell’inverno - e dall’altra il mantenerli aperti riducendo i minuti assistenziali (quantità media di assistenza per paziente) al di sotto di quanto previsto dalle delibere provinciali, con rischi per i pazienti con una riduzione della qualità dell’assistenza e sovraccarico lavorativo per chi resta in turno, che rischia ancora di più di andarsene, altro che trattenimento e attrattività.
In questo quadro drammatico, intanto, non si sa più nulla dei 10.000 infermieri indiani di cui il ministro Schillaci parlò ormai un anno fa, da fare assumere direttamente alle Regioni (in proporzione in Trentino un centinaio), che potrebbero rappresentare una boccata di ossigeno in questa situazione, mentre è tutto fermo anche sull’altra misura di emergenza - sulla quale sono comunque molte le perplessità - rappresentata dalla figura dell’assistente infermiere, sulla cui formazione tutto tace.
Un’emergenza che, guardando la demografia professionale, da anni dicevamo si sarebbe concretizzata, motivo per cui i posti nei corsi di laurea in infermieristica andavano aumentati in modo sostanziale almeno cinque anni fa, adeguando la struttura che si occupa di formazione, quando si era ancora attrattivi. Adesso che è tardi, nemmeno si accelera sulle citate misure emergenziali.
Su questo tema abbiamo interrogato la Giunta per sapere: