Quello che purtroppo è accaduto nei giorni scorsi ad Amsterdam riporta in primo piano il tema dell'antisemitismo, con il quale sembra che dovremo ancora fare i conti nel futuro prossimo del vecchio continente.Non appartengo alla categoria di coloro che vedono ovunque antisemiti.
Lucia Maestri, 11 novembre 2024
Ma non ritengo certo che l'antisemitismo sia un falso problema. Oggi, l'antisemitismo è il problema, perché costituisce l'anima profonda di un sentimento di rifiuto e di ripulsa generalizzata, che coinvolge ogni piega del nostro quotidiano e che nutre il rancore xenofobo di molte politiche degli Stati europei e non solo.Quello che abbiamo visto tutti nelle vie della metropoli olandese è quindi la proiezione materiale del serpeggiare di un odio che non conosce limiti e soprattutto non compie mai distinzione alcuna, ammesso e non concesso che ci possa essere una distinzione nell'atto di odiare in sé. Quell'organizzato assalto ai tifosi israeliani non ci ricorda solo l'orrore della persecuzione per la quale le scuse del re d'Olanda sono apparse moralmente nobili, ma ci rivela come dietro ogni possibile paravento, da quello sportivo a quello universitario o economico, si nasconde un sentimento del quale fatichiamo a catturare i fantasmi che lo animano e che si agitano nelle farneticazioni del nuovo squadrismo antisemita.
Ciò non significa affatto condividere, nemmeno minimamente, la politica aggressiva e violenta del governo israeliano nei riguardi del mondo palestinese, al quale va una umana e sincera solidarietà, ma invece rappresenta il tentativo di superare la barriera odiatrice a priori, ovvero il pregiudizio per il quale è condannabile comunque tutto ciò che è, in qualsiasi modo, ascrivibile all'ebraismo.
Avverto invece, proprio dopo il dramma di Amsterdam, la necessità di una riflessione rigorosa sull'antisemitismo anche dentro la variegata - e talora distratta - galassia del riformismo e del centrosinistra italiano ed europeo; una riflessione capace di togliere «fondamento ad ogni teoria e prassi che introduca tra uomo ed uomo, tra popolo e popolo, discriminazioni un ciò che riguarda la dignità umana e i diritti che ne promanano», come ricorda l'enciclica «Nostra aetate» dell'ottobre 1965.
Va separato quindi il giudizio politico e morale sull'enormità tragica della rappresaglia scatenata da Israele dopo il pogrom del 7 ottobre 2023, dal tentativo di legare in unico e tragico abbraccio quella politica, le sue conseguenze terribili con l'individuo di fede e cultura ebraica che vive nel mondo, la cui responsabilità nelle opzioni militari dello Stato israeliano, peraltro quotidianamente lacerato su tali temi, è ovviamente nulla ed inesistente.
Non comprendere questo passaggio fondamentale, significa non aver colto nulla della lezione del Novecento; non aver capito l'inconsistenza di ogni ragionamento sull'uomo che faccia perno sull'inesistente concetto di razza; non fare alcun sforzo per andare oltre i comodi confini di quel razzismo che tanto critichiamo nell'operato altrui. Certo ci vuole coraggio e consapevolezza, ma non vedo altra strada oggi per coniugare i valori morali sui quali la cultura di centrosinistra fonda le sue identità con la lotta contro il crescente razzismo ideologico e pratico che sta animando l'occidente, ben consci che la dignità umana esclude ogni discriminazione.
Ciò a cui abbiamo assistito nella tollerante e moderna terra olandese dei diritti è la trasmissione pratica di una ideologia malata e che ritiene accettabile l'uso dell'odio etnico, politico e religioso per animare una suddivisione dell'umanità in scale di supremazia. Si tratta di una «cultura» che non può appartenere alla storia del pensiero progressista e democratico in ogni sua declinazione; una «cultura» che va respinta perché è negazione stessa dell'uomo e della sua centralità assoluta dentro la dialettica della storia.