Luca Zeni e Michele Nardelli, "L'Adige", 17 giugno 2010
L'ampio e interessante dibattito sul Parco del Lagorai sviluppatosi in queste settimane sull'Adige può rappresentare una concretizzazione di quel confronto ampio da più parti auspicato sul futuro della Valsugana, comprendendo in questo anche il processo di conversione dell’insediamento industriale delle Acciaierie di Borgo.
Già in occasione della vicenda di Monte Zaccon, che ha simbolicamente inaugurato questa legislatura, avevamo posto la necessità di affrontare la questione di quel “ripristino ambientale” trasformato in discarica assumendo uno sguardo più ampio e profondo, come risposta di prospettiva alle contraddizioni di un modello di sviluppo che si manifestava in tutta la sua insostenibilità: in quella “discarica”, infatti, finivano gli scarti di lavorazione proprio delle acciaierie! Per questo occorre affrontare alla radice l’origine dell’insostenibilità.
Quel che è invece accaduto in questi mesi è stato un aspro confronto con lo sguardo forse più rivolto al passato, sui livelli di inquinamento delle acciaierie e sulle negligenze nei controlli e sulle conseguenze verso la salute delle persone. Una preoccupazione giustificata, s’intende, che chiamava in causa l’amministrazione pubblica nel far rispettare i limiti di legge attraverso un sistema adeguato di controlli e la magistratura nel punire le eventuali infrazioni. Il tutto nella consapevolezza che le norme che pongono limiti di emissioni riflettono conoscenze che sul piano scientifico mutano nel tempo, per cui se la normativa vigente risulta inadeguata o, come è stato detto, confezionata ad hoc, andrebbe cambiata, orientandola in particolare al principio di precauzione. Insomma, alla preoccupazione dei cittadini e dei lavoratori vanno date risposte chiare e responsabili.
Ma proprio per questo vorremmo proporre un approccio diverso, più consono al ruolo che la politica è chiamata a svolgere, ovvero quello di immaginare gli scenari del futuro per la Valsugana, a partire dalla valorizzazione delle sue vocazioni naturali.
La Valsugana è stata la valle del Trentino che forse più di ogni altra ha dato il proprio tributo all’emigrazione trentina nel mondo. Averne memoria è importante, perché a partire della seconda metà dell’800 fra le decine di migliaia di persone che andarono a cercare lavoro altrove (dal 1874 al 1914 partirono ufficialmente dal Trentino più di 40 mila persone) molti erano i valsuganotti. Un’emigrazione che le alluvioni prima e le guerre poi resero ancora più drammatica, a testimonianza di una terra che non riusciva a dare lavoro ai propri figli. Alluvioni e guerre che segnarono pesantemente la Valsugana, tanto che negli anni ’60 e ’70 del secolo appena concluso la gente ancora se ne andava.
Si comprendono così le ragioni economiche e sociali che nel 1973 portarono ad accettare l’insediamento di una industria “senza qualità” come l’acciaieria. E che rientrava nella stessa logica che aveva portato qualche decennio prima all’insediamento di realtà industriali come la Sloi, la Carbochimica, la Samatec… In quel tempo non eravamo certo nelle condizioni di selezionare gli insediamenti industriali a partire dalla loro qualità, si doveva fermare lo spopolamento delle nostre valli e l’attenzione ai temi ambientali era certamente minore.
Quello rappresentato dall’Acciaieria di Borgo Valsugana era un modello di sviluppo estraneo alle caratteristiche del territorio e quei fumi tendevano in realtà ad oscurare le possibili altre (e talvolta più antiche) vocazioni di una terra impoverita dagli eventi ma ricca di potenzialità. Certo, quei posti di lavoro erano importanti e per le famiglie della Valsugana coinvolte era tutto sommato meglio un lavoro magari nocivo non lontano da casa, piuttosto che un’occupazione altrettanto nociva ma a qualche migliaio di chilometri. E così questo scambio è proseguito fino ai giorni nostri, riversando su un’attività industriale che risentiva spesso della crisi del settore le significative risorse finanziarie dell’autonomia.
Oggi siamo nelle condizioni di voltar pagina. Per farlo occorre avviare un confronto ampio, capace di indicare l’idea di un altro modello di sviluppo per la Valsugana incentrato sulle vocazioni del territorio. Queste dovrebbero essere riconducibili al sistema Lagorai, al turismo nelle sue svariate proposte, all’agricoltura e alla zootecnia di qualità, al termalismo e alla cultura dei luoghi e dell’ambiente.
L’idea che proponiamo è che l’acqua (i laghi, i fiumi, le sorgenti, le grotte del Brenta…) ne possa essere il simbolo, una sorta di “genius loci” di un progetto di rinascita del territorio, quasi un rovesciamento di quel che rappresentò per questa valle l’alluvione del 1882. Del resto l’antica leggenda narra che «…in tempi lontanissimi la valle fosse tutta piena d'acqua e naturalmente chiusa dalla parte di Grigno, e all'ingiro, ai fianchi dei monti, fossero infissi degli anelli per legarvi le barche. La valle fu l'ultima che si asciugò e per questo fu detta Valsugana, ossia valsugana "valle asciugata”» (da “La leggenda dell’origine della Valsugana”).
L’acqua è sempre ed ovunque una straordinaria fonte di ricchezza. Per la Valsugana ne rappresenta l’anima profonda, come per il Lagorai, il cui significato etimologico viene dal termine “Aurai”, che significa spazio erboso attorno all'acqua. Lo è per il turismo lacustre o per quello sportivo invernale, ma anche per il turismo “dolce” ed ambientale. Per il turismo culturale legato alla capacità di coniugare arte e natura (Artesella). Per il termalismo come per le fonti di acqua minerale. Senza dimenticare che l’acqua è la fonte principale di energia rinnovabile e tradizionale motore degli antichi opifici della valle. Di questo sistema integrato fondato sull’acqua, Borgo Valsugana potrebbe diventare uno snodo cruciale, immaginando la conversione dell’area delle acciaierie in questa direzione. Del resto, chi avrebbe mai immaginato che un insediamento nocivo come quello della Samatec di Mezzocorona avrebbe potuto diventare il più grande polo italiano delle bollicine?
In questa stessa direzione vanno il grande progetto di rinaturalizzazione del corso del fiume Brenta, l’Accordo di programma dei Comuni rivieraschi dell’Alta Valsugana per la promozione dei percorsi naturalistici che insistono sui laghi di Caldonazzo e di Levico, la valorizzazione delle grotte nei pressi di Grigno, un sistema di vasche naturali che formano laghi spettacolari e già oggi meta di molti escursionisti e speleologi.
Borgo Valsugana si candiderebbe così a diventare il punto di congiunzione fra i laghi, il fiume e i corsi d’acqua, le valli e l’area del parco del Lagorai. Quel Lagorai che Roberto Bombarda indicava come «il parco del silenzio e della libertà, delle malghe e delle miniere, degli antichi vulcani e delle nuove sfide del turismo…», capace di far dialogare la storia con l’agire umano, ricercare simbiosi durevoli fra la terra e l’uomo, favorendo la nascita di sistemi integrati e filiere corte.
Il Lagorai, attraverso un approccio “dolce” che l’acqua ben rappresenta, può diventare emblema di una cultura della montagna diffusa capace di caratterizzare l’identità di una comunità, e di conseguenza di diventare luogo di richiamo per un turismo in continua crescita che non cerca gli altoparlanti in cima a una pista, ma un luogo di pace e di ristoro del corpo e dell’anima. Il Lagorai infatti, da quella porta naturale che è la Val dei Mocheni fino ai confini con il Tesino, il Primiero, la Val di Fiemme, è forse l’area naturale più incontaminata dell’intera provincia, mèta privilegiata per gli appassionati del trekking e dello sci alpinismo, lontana com’è dai caroselli e dal turismo di massa di altre località.
In questa prospettiva il Parco del Lagorai diverrebbe insieme cornice ed elemento di qualificazione di un progetto di rinascita che coinvolga le comunità e le istituzioni locali e ne tracci una loro rinnovata identità.