Carenza di infermieri, il vero dramma del sistema sanitario. Servono risposte, subito

Ecco che i nodi vengono al pettine in tutta la loro drammaticità. Sono anni, prima ancora che la questione diventasse mainstream, che chiediamo di dare attenzione e priorità assoluta alla transizione demografica e ai suoi effetti.
Paolo Zanella, 6 settembre 2024

Da un lato il calo della popolazione attiva, specialmente in alcuni ambiti ad elevato capitale umano e già in sofferenza, come quello sanitario e socio-assistenziale, e dall’altro l’aumento dei bisogni di salute e della non autosufficienza legati all’invecchiamento. Da tempo chiediamo di affrontare la questione della carenza di personale sanitario in modo sistematico, investendo pensiero, programmazione e molte più risorse. I sistemi sanitari sono basati essenzialmente sui professionisti e senza di loro si chiude, altro che aprire ulteriori servizi per far fronte a cronicità e invecchiamento. Senza personale la sanità diventerà - sta già diventando - un privilegio per pochi, sempre più privatizzata e meno accessibile. Non programmando si sta minando il sistema sanitario pubblico e universalistico.

 

Sulla pianificazione del fabbisogno di personale e conseguentemente della sua formazione si dovevano giocare tutte le carte possibili, in particolare sul personale infermieristico, che rappresenta l'ossatura del sistema sanitario, e che si sapeva essere carente in numeri di gran lunga superiori rispetto ai medici (che al netto di alcune specialità, di qui a qualche anno dovrebbero tornare in numero sufficiente, grazie alla riprogrammazione in atto) e a tutte le altre professioni, che pure sono in affanno. I dati sono noti: in Italia mancano oltre 60.000 infermieri, in Trentino circa 500 per coprire pensionamenti e aumento dei servizi, tra cui quelli domiciliari e territoriali di cui si continua a parlare, facendo purtroppo i conti senza l’oste (Case e Ospedali della Comunità, assistenza domiciliare, adeguamento dei numeri in RSA,...).

Si  è fatto poco o nulla negli anni per programmare, non si sono ascoltati gli allarmi di Ordini, sindacati, associazioni dei malati e questi sono i risultati. Si sono aumentati i numeri in accesso al corso di laurea in infermieristica quando ormai l’attrattività era calata e non si è di certo fatto nulla di significativo per aumentarla e adesso, come già succede altrove da anni (ma da noi non era ancora accaduto), si sono iscritti al test di ammissione solo 140 studenti su 200 posti e se ne sono presentati ancora meno. Calcolando il tasso di abbandono sul triennio del 15% si rischia che nei prossimi anni si formino meno di 100 infermieri/anno. Se a questi si aggiungono quelli che migrano all’estero (nel solo 2023 in Italia 6000 infermieri) e quelli che fuggono nel privato per carichi di lavoro che nel pubblico sono sempre più insostenibili, non si riusciranno a coprire nemmeno i pensionamenti, figurarsi aprire nuovi servizi. Costruiremo le Case della Comunità che resteranno vuote. L’assistenza a domicilio dei pazienti, che richiede comunque organici elevati, chi la farà?!. La situazione è davvero drammatica. 

Mentre l’assessore Tonina era intento a terminare il suo lungo tour tra ospedali, RSA e cliniche convenzionate, mentre imparava diligentemente le quattro parole che ripropone come un mantra in qualsiasi occasione anche quando le questioni sono ben altre - denatalità, invecchiamento, prevenzione, domiciliarità - e mentre abbozzava soluzioni improbabili (come far lavorare nei week end i medici per abbattere le liste di attesa, senza calcolare che la maggior parte di chi fa prestazioni ambulatoriali lavora anche in reparto e quindi i turni festivi già li fa), il problema più gravoso, e cioè la carenza di personale in particolare infermieristico, veniva lasciato ai margini.

Cosa si è fatto per aumentare l’attrattività? Forse l’aumento delle retribuzioni, che ha compensato a malapena metà dell’inflazione dello scorso triennio?! Non c’è stato nessun investimento concreto sulla revisioni dell’ordinamento professionale. Ci sono infermieri con carichi di lavoro ingestibili nei reparti o sul territorio e che aspettano in grazia che vengano assunti nuovi colleghi, che in graduatoria ci sarebbero, ma che non arrivano per le lungaggini amministrative: possibile in un periodo di carenza di personale, dove un giorno in più è quello che basta per far decidere ai professionisti di licenziarsi perché la misura è colma?! Infermieri poco valorizzati, nonostante abbiano sviluppato competenze specifiche. Infermieri in affanno che comunque continuano a compensare anche la carenza di OSS, anch’essi sotto organico perché nonostante la graduatoria sia esaurita da tempo, nessuno bandisce un concorso. Possibile?! Infermieri che in RSA ancora non vedono equiparate le loro retribuzioni a quelle di APSS e che anche per questo sguarniscono le case di riposo. L’assessore dov’è?!! Adesso è passato un anno, è ora di far cadere a terra delle proposte concrete.

Servono politiche serie di trattenimento e di attrattività verso la professione e di conseguenza verso i percorsi formativi che vi danno accesso. Seri investimenti per retribuzioni più consone alle responsabilità e che guardino ai livelli europei, per evitare fughe in Alto Adige, all’estero o verso il privato. Maggiore riconoscimento sociale delle professioni sanitarie e delle responsabilità di cui si fanno carico, anche attraverso percorsi di sviluppo professionale e campagne mirate. Orientamento degli studenti - che sono numericamente sempre meno a causa della denatalità - verso le lauree sanitarie. Un cambio di approccio nelle politiche migratorie, che più che dirigersi verso una sorta di neocolonialismo professionale - predazione di professionisti formati che magari servono ai Paesi di origine (e il cui titolo di studio va comunque verificato e in caso integrato) -, dovrebbero guardare a chi migra per rifarsi una vita, a cui offrire politiche di integrazione e formative, per colmare quel gap di iscrizioni mancanti ai corsi di laurea. Politiche abitative dedicate, visto che oggi i prezzi di mercato erodono gran parte dello stipendio e non sono attrattive per chi viene da fuori. Serve poi anche una migliore gestione manageriale del personale nei vertici di APSS: non è possibile che in momenti critici come questo tutto si areni perché non si assume o non si fanno i concorsi: è inaccettabile.

Salvare il sistema sanitario passa dal garantire il personale nei servizi, nei reparti e sul territorio. Questa è la priorità a cui guardare, assessore Tonina.