Trento Arrivata in piazza Fiera, Sara Ferrari non riusciva a percorre i pochi metri che la separavano dalla destinazione. A ogni passo incontrava qualcuno, si fermava e scambiava due chiacchiere. Anche con il meloniano Giacomo Bezzi, di certo molto distante dalle sue posizioni politiche. «È la mia città...», dice. «Pensi che ho una gemella che viene scambiata per me. Chi non ci fa caso crede che sia io e che non saluti. Lei ha imparato a sorridere, essere gentile e dire: “Non sono mia sorella!”».
D. Cassaghi, "Corriere del Trentino", 4 giugno 2024
Due bicchieri d’aranciata sotto a un dehor della piazza sono la scusa per tirare le somme dell’impegno politico di una persona, la candidata del Pd alle prossime Europee, che nel rapporto con gli altri trova la sua forza. «Sono una donna di relazione», ripete per due volte. E di certo in questo c’è anche un po’ del suo lavoro: «Quando alla Camera arrivano le scolaresche — racconta — Mi sento dire spesso: “Si vede che lei è un’insegnante”. Rapportarsi con gli adolescenti non è facile per tutti i politici».
Oramai sono anni che è in aspettativa, ma è consapevole che finita la parentesi politica, tornerà a prendere servizio come insegnante di Lettere: «Troverò una scuola molto cambiata. Sarà come avere un nuovo lavoro, ma porterò l’esperienza maturata che ho maturato. Prima il docente era depositario del sapere. Ora le informazioni sono accessibili a chiunque abbia un cellulare. L’insegnante dovrà fare da orientatore per permettere agli studenti di sviluppare il senso critico». E sulle insufficienze dichiara: «Non do mai meno di 4 perché sono contraria alle valutazioni che impediscono il riscatto. La scuola deve essere un’opportunità per chiunque. Per ottenere quello che le circostanze familiari o sociali non ti hanno dato». E quando le si chiede del libro preferito, raccomanda O la scuola o la scarpa di Tahar Ben Jelloun, la storia di alcuni ragazzini algerini messi di fronte a un bivio: studiare o cucire palloni per una multinazionale.
La scuola, dice, «un po’ le manca, anche se sono soddisfatta di quello che faccio ora». Cioè dell’attività politica, iniziata in una famiglia di attivismo socialista e grazie al suo relatore, Vincenzo Calì. È stato lui a spingerla a dare un seguito alla tesi dedicata a Ernesta Bittanti Battisti, moglie di Cesare, che a Firenze gestiva sia un circolo di intellettuali socialisti sia la «Lega degli interessi femminili». L’iscrizione ai Ds e l’impegno in favore delle donne in onore di Bittanti Battisti sono stati il passo successivo: l’inizio di una carriera “di partito” che la porterà alla Camera.
A Montecitorio Ferrari si fa notare subito: a pochi giorni dall’insediamento è tra i Dem che sollevano uno striscione di contestazione contro Lorenzo Fontana. «Se lo rifarei? Sì. Ammetto che lui sta dimostrando di interpretare correttamente il ruolo di presidente. Ma la scelta del più conservatore in tema di diritti civili e delle donne era un segnale chiaro». Tra i colleghi più simpatici annovera «tanti del Pd». Non rivela chi sia quello più antipatico («Sono troppo diplomatica per farlo», dice scoppiando a ridere). Ma, rivela, «lavoro bene con Vanessa Cattoi della maggioranza. C’è reciproco rispetto e abbiamo ottenuto i 2 milioni per l’ex Sloi».
Forte del suo passato di ex-calciatrice — è stata, per 12 anni in totale, un terzino destro «con poca tecnica e molto fiato» e poi mediano e capitana— Ferrari si è intrufolata negli allenamenti della squadra maschile di Montecitorio. «Sto cercando di convincere le colleghe a fare la squadra femminile, ma faccio fatica», dice. Anche la passione per il calcio, per lei «romanista dai tempi di Falcao» deriva dal padre, che ha portato lei e la sorella a seguire i mondiali dell’82 «in un infimo bar dell’entroterra pugliese». E poi dal fatto che all’epoca si diceva: «Cosa vuoi che le donne capiscano di calcio?», e che quindi servisse reagire.
L’ultimo grande viaggio, a inizio marzo è stato a Rafah, a sud della Striscia di Gaza. «La cosa che mi ha fatto più arrabbiare è stata vedere la volontà messa in atto dall’esercito israeliano di nuocere alla popolazione civile — racconta — La attuavano non con azioni militari, ma attraverso il blocco di alimenti e materiale salvavita nella Striscia. Che è un posto con un wc ogni 400 persone e in cui le donne non mangiano e non bevono per non dover andare ai servizi. Prima del 7 ottobre entravano 600 camion al giorno, ora, aumentato il bisogno, ne entrano 70». E l’altra cosa che l’ha colpita è sentirsi chiedere dai rappresentanti della Lega Araba come mai il suo gruppo fosse l’ennesimo in visita dopo, quello dei francesi, tedeschi e portoghesi. «Fuori percepiscono l’Europa come un’unica entità. Noi non lo facciamo e per questo è importante completare il processo», afferma. Soprattutto adesso che «la gente non crede più che le istituzioni possano incidere sulle loro vite» a causa di «un discredito generalizzato della politica. Vorrei invece che la gente mi giudicasse per le cose giuste o sbagliate che faccio».