La dimensione sociale e il tipo di approccio alla cura che sono presenti all'interno delle residenze sanitarie assistenziali (Rsa) dimostrano, nella loro concreta applicazione, che le Rsa non possono essere considerate geriatrie periferiche.
Francesca Parolari, 24 marzo 2024
Nelle Rsa, infatti, ci si prende carico della cronicità e non della patologia acuta per la quale, invece, è richiesto l'intervento clinico specializzato ospedaliero. L'anziano non più autosufficiente viene accolto nelle Rsa e assistito con servizi di tipo socio-assistenziale e sanitario mirati ad accompagnare l'evolversi dell'invecchiamento. È solo quando la malattia si acutizza che, per curare l'aggravamento e limitatamente a tale periodo, l'anziano viene preso in carico dall'ospedale.
Dico ospedale e non geriatria perché, in modo alquanto incomprensibile e assai discutibile, la politica provinciale attuale è orientata, da qualche tempo, a ridurre progressivamente i posti letto nelle geriatrie ospedaliere, al punto che gli anziani ricoverati ora vengono inviati non in un reparto dedicato ma dove c'è posto. In ospedale non c'è più, purtroppo, quella presa in carico complessiva garantita a tutti dalla geriatria quanto piuttosto l'intervento clinico mirato a risolvere l'acuzie.
Ecco perché non è proprio possibile confondere i due livelli ed è invece opportuno rimarcare le differenze fra servizio erogato in Rsa e geriatria. L'anziano, per il solo fatto di essere tale, non è infatti un malato. L'allungamento dell'età media associato alla co-morbilità, cioè alla compresenza di più patologie, crea enorme pressione sui servizi e rischia di innescare risposte affannose, semplicisticamente orientate a fornire risposte che medicalizzano la condizione dell'anziano. Alla domanda «sei vecchio e con qualche malanno?» la risposta non può essere prettamente di tipo sanitario o, peggio, l'istituzionalizzazione in struttura specializzata per patologia (a tacere dell'enorme difficoltà, in una situazione di co-morbilità, nello stabilire quale sia la patologia più critica che orienta definitivamente verso l'una o l'altra soluzione).
La risposta per la persona che invecchia e, complessivamente, per una società che vede velocemente comporsi popolose coorti di grandi anziani la si può trovare solo nella consapevolezza che occorre tornare ad una dimensione di presa in carico comunitaria della condizione della persona anziana. Torniamo, quindi, a pensare le nostre rsa veramente come delle "case" anche sotto il profilo strutturale. Anziché grandi compendi, pensati magari riutilizzando impropriamente edifici dismessi, immaginiamo allora strutture di dimensioni ridotte, con più nuclei autonomi, allestite all'interno di ciascun quartiere e fortemente integrate fra loro per quanto riguarda i servizi generali. Vere e proprie abitazioni, alla cui gestione possono compartecipare anche i familiari ed i volontari, compatibilmente con le disponibilità di ognuno, e quindi caratterizzate da elevata flessibilità organizzativa. Non più, quindi, lunghi e stretti corridoi con stanze prospicienti, che vanno bene tutt'al più nei reparti ospedalieri, quanto piuttosto alloggi di pochi posti letto con spazi comuni, in cui la persona anziana può se lo desidera vivere la dimensione sociale, e progettati in modo che l'anziano con disturbi comportamentali possa deambulare ed orientarsi in modo adeguato.
Immaginiamo, infine, contesti abitativi aperti al territorio, all'interno di comunità «Dementia Friendly», inclusive ed accoglienti, in cui l'anziano disorientato possa trovare punti di riferimento perché pensate, anche urbanisticamente, in modo orientante e protesico. Si tratta di un tema fondamentale se si vuole veramente parlare di domiciliarità perché rimanere al proprio domicilio significa necessariamente poter uscire di casa in sicurezza e continuare a rimanere un membro attivo della propria comunità. Questi sono i servizi di tipo residenziale che una politica seria e lungimirante deve mettere in campo sin da subito per rispondere alla sfida demografica, soluzioni centrate e costruite attorno alla persona, dentro la comunità che di lei continua a prendersi cura.