Il sistema sanitario provinciale non gode per nulla di buona salute. I sintomi sono ormai molti: i dati sulle lista d’attesa, anche per prestazioni in RAO urgente; la pressione che subiscono i pronto soccorso, dove ormai il personale è per 2/3 gettonista; il malessere dei professionisti che fuggono alla ricerca di condizioni lavorative e retributive migliori; il sovraccarico - in primis burocratico - che vivono quotidianamente i medici di base, in numero insufficiente per dare risposte a tutti i cittadini; i finanziamenti verso il privato che continuano ad aumentare; le liste di attesa per le RSA che si allungano.
Trento, 22 febbraio 2024
Guardare al fatto che gran parte del resto d’Italia è messa peggio non è una scusante: il mal comune mezzo gaudio, quando si tratta di bisogni di salute dei cittadini, non è un alibi che regge. Serve trovare soluzioni a problemi, che sono certo difficili da risolvere, ma che proprio per questo la politica deve affrontare complessivamente e non con singole boutade. Serve un ventaglio di soluzioni per far fronte alle emergenze in atto nel breve termine e serve programmare per i prossimi vent’anni con soluzioni a medio e lungo termine che salvino il sistema pubblico e universalistico.
La situazione in cui ci troviamo ora, d’altronde, è dovuta proprio alla mancata pianificazione quindicennale (soprattutto nazionale sulle specialità di medicina) di cui l’assessora Segnana non è riuscita a correggere la traiettoria negli ultimi cinque anni. Sono mancate serie misure di trattenimento e attrattività; si è pensato di risolvere la carenza di medici con la Scuola di Medicina che impiegherà ancora 6 anni a dare risposte, mentre si potevano censire le specialità carenti e bandire più borse provinciali; non si sono potenziati per tempo i corsi delle professioni sanitarie. Ed ora stiamo messi così, col sistema che rischia di implodere se non si apporteranno correttivi.
Il rischio è che il cambio di guida all’assessorato modifichi l’approccio - finalmente in ascolto e pronto a tamponare situazioni contingenti ereditate dal mancato governo politico precedente (vedi CUP e bando trasporti programmati) - ma che nella sostanza non si prendano in mano le questioni cruciali con un approccio di progettazione a trecentosessanta gradi, di cui le politiche per la salute hanno estremamente bisogno.
Sulle questioni più urgenti e complesse ad esempio non mi pare si siano proposte soluzioni percorribili. L’idea di assumere a tempo indeterminato i gettonisti appare paradossale: i gettonisti sono o medici in pensione o medici che si sono licenziati e che sono rientrati a lavorare guadagnando il quadruplo e dettando le condizioni di lavoro - e sulla cui etica professionale ci sarebbe da interrogarsi -: per quale motivo dovrebbero rientrare come dipendenti?! E poi continuare a foraggiare il privato, per quanto accreditato, invece di ricontrattare il contributo dei professionisti del pubblico, non è la soluzione e non fa altro che favorire la fuga di professionisti verso la sanità privata. Le liste spesso si allungano anche perché non c’è efficienza e omogeneità di gestione - e nemmeno controllo - anche per quanto riguarda le prestazioni urgenti, che il pubblico non può non garantire. Perché questo aspetto non viene mai approfondito?
Nel medio e lungo termine, poi, si sta brancolando nel buio e il rischio è che non si esca dalla crisi della sanità nemmeno tra qualche anno. Nel Piano triennale della formazione degli operatori del SSP licenziato dall’assessore Tonina non si tiene conto dei bisogni di salute e delle necessità di aumento del personale per potenziare il territorio con le Case e gli Ospedali di Comunità. Si pianifica solo facendo fronte al turnover programmato, ma è assurdo e così saremo punto a capo nel 2026 all’apertura delle nuove strutture. Questa è la logica con la quale si continuano a concepire le Case della Comunità: si costruiscono muri, prima di aver pianificato cosa metterci dentro. La stessa carenza di pianificazione la si ritrova nell’attuazione pedissequa degli orientamenti nazionali sui posti letto di rianimazione, che aumenteranno a dismisura a discapito di quelli di geriatria, di cui con l’invecchiamento in atto si pensa comunque di poter fare a meno. E ancora si insiste nel negare la necessità di più posti in RSA, proponendo il solo modello del cohousing e il potenziamento dell’assistenza domiciliare. Certo, serve una serie diversificata di risposte, ma gli appartamenti protetti, il cohousing e il domicilio assistito non sostituiscono l’assistenza sanitaria di una RSA di cui una fascia di popolazione ha e avrà sempre più bisogno. Si deve ragionare piuttosto su come finanziare e rendere sostenibile il tema della non autosufficienza, cosa sulla quale non si sta facendo nulla.
In sostanza, come già sollecitato in passato, si deve prendere in mano la salute nel suo complesso: la nostra Autonomia deve indire gli Stati generali della salute, per confrontarsi con APSS, APSP, Ordini, Consulte, sindacati, esperti, anche con le buone prassi di altri regioni e Stati europei per trovare soluzioni urgenti e di prospettiva innovative. Per alcune questioni c’è urgenza e il confronto deve essere celere, su altre si può approfondire maggiormente, magari partendo dall’analisi della situazione e dei bisogni, utile anche alla stesura del futuro Piano provinciale per la salute, visto che l’attuale è in scadenza nel 2025. Fare il giro pastorale di ospedali e RSA e ascoltare a uno a uno i singoli stakeholders, assessore Tonina, è troppo poco e non restituirà le soluzioni per la sanità di cui il Trentino ha estremo bisogno.