TRENTO Contro la «diffusa omertà maschile» che spesso è «garanzia di impunità per gli uomini violenti». Contro la «cultura patriarcale fondata su una arcaica nozione di superiorità e di possesso dell’uomo sulla donna». Perché «in Italia ogni tre giorni un uomo uccide una donna con cui ha un legame familiare o affettivo». E. Pruner, "Corriere del Trentino", 9 gennaio 2024
Sessanta uomini trentini lanciano un «appello all’azione», tra cui il sindaco di Trento Franco Ianeselli, il leader dell’Alleanza democratica autonomista in consiglio provinciale Francesco Valduga e il presidente di Confindustria Fausto Manzana, con il supporto di associazioni, Ordini e sindacati: «È ora di agire, di urlare pubblicamente che la discriminazione e la violenza di genere sono un fenomeno da sradicare, perché mina le radici stesse della nostra comunità. Ci assumiamo quindi la responsabilità di contrastarlo, in alleanza con le donne, con tutti i mezzi a nostra disposizione. Proprio per rendere la nostra posizione più visibile, chiara e riconoscibile, questo appello è proposto da soli uomini».
Ma, insieme all’assunzione di responsabilità, i firmatari portano sul tavolo della giunta una «proposta concreta»: «Chiediamo alla Provincia che vengano riattivati al più presto i percorsi di educazione alla relazione di genere e promossi capillarmente in tutte le scuole sul territorio provinciale, nella prospettiva di renderli strutturali». Il riferimento cade sui percorsi educativi che la giunta Rossi mise in moto in collaborazione con l’Iprase e con il Centro studi interdisciplinari di genere dell’Università di Trento. Un progetto che, viene ricordato nell’appello, «è stato sospeso indefinitamente nel 2018 dalla giunta provinciale eletta poche settimane prima» nonostante fosse «diventato rapidamente un modello a livello nazionale».
Sabato alle 16, in piazza Pasi a Trento, ci sarà un incontro sui temi dell’appello, a cui parteciperanno la prorettrice dell’Università Barbara Poggio e la deputata in quota Pd, Sara Ferrari.
A lanciare l’idea di un appello a sessanta voci è stato Marco Buiatti, tecnico di laboratorio Cimec: «La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stato l’omicidio di Giulia Cecchettin — spiega — ma ho sfondato tante porte aperte, di uomini frustrati di figurare sempre come passivi». Nel giro di poche ore si sono aggiunte in calce all’appello oltre cento firme. «I responsabili sono gli uomini — prosegue — L’unico modo per sradicare il problema alla base è agire sull’educazione, attraverso la quale possiamo smontare quegli stereotipi che sono le gabbie psicologiche che fanno nascere la disparità fin dai primi anni di vita». Buiatti è responsabile di due laboratori che studiano le funzioni cognitive dei bambini e lo sviluppo delle loro relazioni con il mondo: «Occorre agire fin da subito, affinché le bambine non vengano educate alla subalternità e i bambini alle dimostrazioni di forza e a non esprimere i propri sentimenti». «Seguendo l’evidenza scientifica», l’educazione alla relazione di genere sarebbe «urgente» per prevenire ogni forma di violenza: «I femminicidi sono la punta di un enorme iceberg — è sottolineato nell’appello — Una donna su tre ha subito nel corso della sua vita almeno un atto di violenza fisica o sessuale, e quasi una su due violenza psicologica o economica». Peraltro già dal 2011, con la convenzione di Istanbul, «anche il consiglio d’Europa individua il ruolo centrale del sistema educativo al fine di prevenire e combattere la violenza contro le donne».
Un appello degli uomini trentini, dunque, che è già una sollecitazione lanciata alle istituzioni. In particolare alla vicepresidente Francesca Gerosa, titolare anche della delega all’Istruzione, che però non sarebbe stata interpellata direttamente: «Non ho ricevuto alcun appello — spiega Gerosa — Ho saputo che si parlerà del tema in piazza ma, nel momento in cui chiedi alla Provincia di costruire un percorso, devi coinvolgerla in un tavolo di discussione. La scelta di lasciarmi all’oscuro mi lascia perplessa». E prosegue: «È apprezzabile che ci siano uomini che parlano della violenza di genere. La violenza di genere è un fenomeno gravissimo, però non possiamo limitarci a questo. Il tema è molto più ampio. Se si entra nelle scuole a fare corsi soltanto contro la violenza di genere, si fa una piccola parte del percorso. Per esempio oggi dobbiamo affrontare il tema del bullismo, anche quello femminile verso i maschi e le altre ragazze, che è un fenomeno in crescita». L’obiettivo individuato nell’appello andrebbe quindi «allargato»: «Parlare di educazione alla relazione di genere è riduttivo, dobbiamo parlare di educazione al rispetto degli altri, uomini o donne che siano, che significa molto di più — ribadisce Gerosa — Serve incentrare i corsi sul rispetto delle regole, sulla consapevolezza dell’importanza di sé e sulla percezione dei rischi. Noi dobbiamo educare i cittadini di domani e, lavorando a 360 gradi, l’educazione alla relazione di genere diventa una conseguenza». E sulla possibilità di confrontarsi con qualche rappresentante dei firmatari, la vicepresidente taglia corto: «Non ho mai negato incontri a nessuno» .
Ferrari: «L’assessora eviti passi indietro»
TRENTO Guardando tutti i consiglieri in faccia, Fugatti l’aveva definita una «piaga». Mentre presentava il suo programma di legislatura, lo scorso 21 dicembre, il governatore aveva precisato che la violenza di genere richiede «da parte di tutti uno sforzo fuori dall’ordinario, non appesantito dalle ideologie, ma concreto e durevole». Dove si deve partire è ormai condiviso: dalla scuola. Come farlo, però, è tutt’altro che chiaro. La linea Gerosa non comprende i corsi all’affettività: un «termine da superare», ha spiegato su queste colonne la vicepresidente, perché «l’affettività non è compito della scuola, che deve piuttosto far crescere cittadini rispettosi». Precisando che «noi dobbiamo entrare nelle scuole con ciò che non è divisivo».
Di ben altro avviso è Sara Ferrari, parlamentare del Partito democratico: «Non è vero che questo argomento divide le persone — ribatte — Negli anni passati nelle scuole trentine ho potuto registrare una crescente soddisfazione da parte di genitori, docenti e dirigenti, oltre che dei minori. Non ci sono mai stati problemi». Ferrari, infatti, era assessora alle Pari opportunità nella giunta Rossi, quando vennero attivati i «percorsi di educazione alla relazione di genere» che, nel 2018, il primo governo Fugatti decise di congelare. «In Parlamento inizierà il confronto su diverse e trasversali proposte di educazione all’affettività e alla parità — fa il punto — È davvero un peccato che, mentre anche il livello nazionale finalmente si rende consapevole della necessità di agire sull’educazione, a Trento, dove siamo stati apripista già dieci anni fa, ancora oggi una parte politica neghi l’importanza di questo lavoro per una nuova cultura del rispetto e della parità nelle relazioni affettive. Quello che noi facevamo dieci anni fa è ancora un unicum in Italia, perché era un sistema formativo promosso in tutte le scuole e pagato dalla Provincia. Adesso viene discusso come obiettivo da raggiungere in tutto il Paese ciò che noi avevamo già, ma che è stato cancellato».
Nel 2014 guardava il progetto dall’interno anche Barbara Poggio, prorettrice alle politiche di equità e diversità dell’Università di Trento, che allora era la coordinatrice scientifica del percorso nelle scuole e sabato alle 16 sarà in piazza Pasi con Ferrari per discutere del tema: «Si lavorava sul riconoscimento e il rispetto delle differenze di genere con due obiettivi — ricorda — Prevenire la violenza di genere e riequilibrare le scelte scolastiche delle ragazze che poi diventano anche quelle professionali, considerati gli squilibri che tuttora sono presenti sul nostro territorio». E se «l’affettività e la sessualità non erano trattati in modo specifico all’interno del percorso», era solo perché «i corsi su questi temi venivano offerti dell’Azienda sanitaria». Infatti, chiarisce Poggio, «se si ragiona sulle relazioni di genere, ci si trova a ragionare anche sulle relazioni tra donne e uomini all’interno di una coppia».
Ribadisce la lettura Ferrari: «Oggi tutti quelli che vogliono contrastare e prevenire la violenza — osserva — riconoscono che vanno educati maschi e femmine ad agire nei rapporti affettivi in modo corretto e rispettose delle differenze, come da convenzione di Istanbul. Chi nega che la violenza avvenga nelle relazioni affettive ignora volutamente i dati di realtà e non fa un buon servizio alla collettività, a maggior ragione se a rifiutarsi di sostenere e finanziare questo pilastro della prevenzione è chi ha un ruolo politico istituzionale. Spero che la nuova assessora all’istruzione si prenda il tempo per approfondire questa questione, prima di decidere che non sosterrà le iniziative educative, come invece farà il resto del Paese». Così il rischio sarebbe quello di «portare il Trentino a fare ancora passi indietro».
Al netto delle responsabilità politiche, la deputata inquadra l’appello degli uomini trentini: «Non credo che sia un caso che proprio a Trento ci sia una mobilitazione maschile, perché il grosso lavoro fatto negli anni scorsi su questo tema, con molto impegno di prevenzione in chiave culturale e di sensibilizzazione, ha comunque lasciato il segno».
Anche per Poggio il segnale è «positivo»: «C’è un modello di mascolinità tossico — precisa — legato al modello tradizionale di divisione dei ruoli che si continua a rigenerarsi. Il tema però non è fare un processo collettivo né risvegliare il senso di colpa negli uomini. Si tratta piuttosto di senso di responsabilità».
E su come i percorsi di educazione alla relazione di genere potrebbero essere strutturati, la prorettrice ha le idee chiare: «Non si pensi alle classiche lezioni frontali — spiega — L’approccio è laboratoriale, interattivo, per ragionare sulle proprie esperienze e sui messaggi che vengono proposti a livello sociale, e che trasportano gli stereotipi da decostruire». Insomma «non si proporrebbe alcuna teoria» e all’orizzonte non ci sarebbe alcun rischio di deformazione «ideologica»: «Si offrono invece gli strumenti per leggere la realtà e riconoscere gli elementi asimmetrici e le pratiche di violenza — tira le somme Poggio — Anche a partire dai contenuti violenti sui social e dalle serie tv. O, per esempio, si può riflettere sui testi usati da alcuni rapper andando al di là della censura. Perché questi personaggi vengono seguiti comunque e diventa quindi più importante saper riconoscere e interpretare i contenuti» .
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