Con oltre 100.000 sbarchi in otto mesi ed un ritmo di approdi che non mostra cedimenti, anche la destra, oggi al governo del Paese, pare accorgersi finalmente della plateale inconsitenza degli slogan e delle retoriche nazionaliste e sovraniste.Lucia Maestri, "Il T Quotidiano", 29 agosto 2023
La dimensione del problema infatti va ben oltre ogni facile sbruffoneria da comizio, perchè si tratta di una questione enorme e che necessita di accordi veri con l’Europa, quegli accordi di ridistribuzione, ad esempio, che i Paesi di Visegrad non vogliono e bloccano da tempo, in barba all’ “amicizia” politica con Salvini e Meloni. Il problema è immenso ed è per questo che bisognerebbe evitare i cori dei tifosi e degli ultras, che celano i nodi veri e trasferiscono tutto in inutile e gretta polemica, per aprire invece una stagione di confronto e di dialogo, nella consapevolezza che le scelte comode, come quelle delle chiusure dell’assistenza diffusa sul territorio, non servono ed anzi alimentano ancor più il problema, lasciando le persone all’abbandono ed a quel caos dal quale non si generano mai soluzioni felici.
Qualcuno ritiene che la difesa dell’identità nazionale, come locale, possa transitare attraverso l’irrigidimento dei confini e la costruzione di muri, salvo poi chiedere l’abolizione degli stessi confini e muri per progetti transfrontalieri come quelli euroregionali. Io credo invece che l’identità di un Paese e di un territorio come il nostro, che sull’emigrazione ha scritto parte della sua plurale storia, non sia quella “securitaria” di certo intransigentismo da osteria, bensì quella di chi, ogni giorno ed in silenzio, a Pantelleria come sul Carso, affronta il dramma recuperando corpi annegati o salvando vite o nutrendo ed ospitando chi fugge dall’ Afghanistan dei talebani o dai kalshnikov delle infinite guerre tribali africane. Davanti a costoro, i decreti, le chiusure, il diritto serve a poco. Chi fugge dalla morte, fugge e basta. Fugge e cerca rifugio dove può, dove avverte qualche residuo di possibilità, dove sente il soffio leggerissimo della speranza.
Ecco che allora diventa necessario trovare ragioni di incontro - e non di scontro - fra sensibilità politiche diverse, lasciando spazio all’ascolto anche di altre verità oltre la nostra, per evitare di trasformare ogni tema in una bolgia da stadio, dove le rispettive “curve” si esaltano ed insultano. Vanno ricercate insomma le ragioni della politica che è complessa per sua stessa natura e che non si può ridurre a frasi fatte, buone solo per i “like” sui social.
Noi sappiamo perfettamente che il sistema delle imprese anche trentine ha bisogno di manodopera. Lo sappiamo e lo verifichiamo, ad esempio, allo scoccare di ogni stagione del raccolto. Ma sappiamo anche che c’è bisogno di formazione e che il nostro sistema di formazione professionale non è inferiore ad altri, anzi. E allora? Non serve a nulla continuare a “passare palla” cercando disperatamente qualcuno al quale addossare tutto, mentre è invece urgente trovare soluzioni condivise e dignitose, usando la fermezza laddove necessita, ma senza mai perdere di vista quell’umanità che alla nostra cultura ed alla nostra identità deriva da oltre duemila anni di civiltà. Ciò che serve insomma è una politica dell’inserimento e della collocazione diffusa, perché al mercato del lavoro ed alle prospettive economiche non interessa affatto se le mele siano state raccolte da un pakistano o da un bulgaro, ciò che conta è che si possano ragionevolmente vendere, per riavviare il motore dell’economia del territorio.
Questa è una delle grandi sfide che ci attende con la prossima Legislatura provinciale, una sfida che possiamo vincere o perdere tutti insieme. Tutto il resto è solo “facile” promessa da campagna elettorale.
Seguici su YouTube
Partito Democratico del Trentino