Una recente sentenza del Giudice del Lavoro di Trento ha visto soccombere, in Tribunale, il MU.SE. ed una società cooperativa di servizi in una vertenza con un ex dipendente che chiedeva il riconoscimento di indennità previste dai contratti categoriali.
Trento, 7 dicembre 2022
Si tratta di una decisione che potrebbe riguardare anche molti altri attuali collaboratori ed ex dipendenti del Museo stesso e delle cooperative che al medesimo forniscono servizi.
Da questa situazione ha tratto spunto la Consigliera del PD Lucia Maestri, depositando oggi una specifica interrogazione in Consiglio provinciale volta ad indagare i risvolti amministrativi della vicenda, le ricadute economiche della stessa sui bilanci del Museo ed il nodo del precariato dentro il sistema museale trentino e, più in generale, nel quadro dei lavori affidati dall’Ente pubblico a società esterne e fornitrici di servizi.
IL TESTO DELL'INTERROGAZIONE:
Interrogazione n.
UN VERO RISPETTO DEI CONTRATTI DI LAVORO
Con una sentenza di indubbio rilievo, il Giudice del Lavoro di Trento ha recentemente stabilito l’obbligo per un datore di lavoro – nello specifico una società cooperativa – di corrispondere ad un suo ex dipendente una indennità prevista peraltro dal contratto di riferimento e mai applicata.
Si tratta forse di una “sentenza-pilota”, posto che la vertenza avviata a suo tempo da un singolo lavoratore potrebbe avere riflessi anche su un altro centinaio di colleghi del ricorrente, oltre ad altre cento persone che, nei decorsi anni, si sono licenziate dalla citata società cooperativa senza aver percepito la dovuta indennità.
Fin qui sembrerebbe una “normale” causa di lavoro. La realtà però è ben diversa.
Il lavoratore interessato dalla citata sentenza aveva prestato la sua opera professionale alle dipendenze di una società cooperativa che agiva fornendo manodopera al Museo della Scienza di Trento, meglio noto come MU.SE., per coprire le necessità di “pilot” o divulgatori; receptionist, operatori del bookshop e mediatori scientifici, nonché per altri servizi di supporto all’attività museale.
Ora, la normativa vigente prevede che quando una “stazione appaltante” – in questa fattispecie il Museo – emette un bando per un servizio, articola il capitolato di gara e chi vince si impegna ad applicare un contratto collettivo attinente che, in questo caso, sarebbe quello di “Federculture”. Purtroppo però così non è avvenuto.
Le società cooperative che si sono aggiudicate i servizi del Museo nell’ anno 2018 hanno applicato, anziché il contratto di riferimento di “Federculture”, quello delle cooperative sociali. La legge però stabilisce che i lavoratori inquadrati con un contratto meno “ricco” di quello di riferimento, debbono poter ottenere la corresponsione della differenza di retribuzione e questa cifra viene indicata come “indennità d’appalto”. Nella questione in esame, quell’indennità non venne mai attribuita al lavoratore il quale decise di rivolgersi alla Magistratura competente, ottenendo infine il riconoscimento dei propri diritti appunto con la sentenza più sopra ricordata.
Questo è solo uno dei tanti, troppi, casi nei quali si dibatte il precariato che opera presso il MU.SE., dove, nonostante gli impegni, pare lavorino ancora soggetti con contratti di esternalizzazione che non raggiungono la “dignità minima”.
Francamente, si tratta di situazioni avvilenti e che minano la stessa credibilità del sistema autonomistico, apparentemente incapace di governare minimi processi di tutela della sicurezza e della dignità del lavoro.
Alla luce di tali considerazione, emerge però anche la rilevanza del dato economico e di quello metodologico. Infatti il MU.SE., al pari della società cooperativa, è stato chiamato a risarcire il danno patito dal lavoratore, ma lo stesso danno potrebbe interessare oltre duecento lavoratori in totale, con una ricaduta sul bilancio dell’ente di proporzioni decisamente pesanti, soprattutto se a queste si aggiungono le contestazioni che il Servizio Lavoro della Provincia pare abbia sollevato nei confronti del Museo per omissioni retributive, previdenziali e assicurative. Sul piano del metodo poi, colpisce che né il Museo, né le società cooperative interessate e nemmeno il Servizio Lavoro della Provincia abbiano avvertito la necessità di informare le Organizzazioni sindacali che avevano sollevato i problemi dai quali si è poi giunti alla sentenza in oggetto, circa la situazione in cui versa, sul piano del personale, il Museo.
Tutto ciò premesso, si interroga la Giunta provinciale per sapere:
- quanti risultano a tutt’oggi, in complesso, i lavoratori interessati dalla mancata corresponsione dell’ “indennità d’appalto”, sia quelli in servizio come quelli che hanno dismesso l’attività;
- se tale indennità assume o meno valore retroattivo e se quindi coloro che si sono licenziati prima della citata sentenza del Giudice del Lavoro di Trento possano vantare il diritto all’ottenimento “ex post” della suddetta indennità;
- se esistono – ed eventualmente dove e quali sono – analoghe situazioni di impari trattamento dei dipendenti di società vincitrici di appalto in altri musei del Sistema Museale Trentino;
- per quale ragione non si è ritenuto di rilevare “utile e cogente” l’insieme delle segnalazioni a suo tempo evidenziate dal Servizio Lavoro della Provincia circa la situazione venutasi a creare al MU.SE. ed il mancato rispetto dei contratti di riferimento e per quale ragione inoltre si è deciso di non illustrare i termini della questione alle Parti sindacali interessate;
- se la Provincia ha adottato o ha in animo di adottare procedure tali da imporre comunque il rispetto delle norme contrattuali pattuite per i lavoratori dipendenti da società esterne, fornitrici, su appalto, di servizi all’Ente pubblico.
A norma di Regolamento si richiede risposta scritta.
Cons.ra Lucia Maestri