TRENTO Ci sono due parole chiave, due grandi filoni, da cui si deve partire per ridisegnare il futuro della sanità trentina e superare i problemi e le criticità attuali. Il consigliere Luca Zeni (Pd), ex assessore alla Salute nel governo Rossi, insiste molto sui due concetti — «diversi, ma che si intrecciano tra loro», spiega — ossia programmazione e organizzazione.
"Corriere del Trentino", 20 novembre 2022
«Per quanto riguarda la programmazione bisogna smetterla con gli slogan e avere chiaro che la rete ospedaliera significa avere funzioni chiare e definite altrimenti si abbassa la qualità, mentre su problematiche complesse è necessario che ci sia una casistica».
Zeni riflette sul ruolo degli ospedali periferici: «Dove ci sono numeri alti è possibile specializzare, ma lo si deve fare in base alle professionalità e ai professionisti, non a tavolino. Penso a quello che è successo all’ospedale di Arco, a guidare neurochirurgia c’era un primario di alto livello, ma se n’è andato a Padova». Questo non significa che valorizzare gli ospedali di valle sia sbagliato, ma nell’ottica dell’ex assessore bisogna partire dalle necessità. «Penso al diabete, ad esempio, ci sono numeri impressionanti, a reumatologia, ma anche alcuni servizi legati alle cure oncologiche devono essere presenti in maniera diffusa e capillare, però sempre coordinate con il centro». Inoltre si deve evitare che per far fronte al problema delle lunghe liste d’attesa si finisca per dare la colpa ai medici che danno troppi Rao: «È un problema di sistema — chiarisce — . Bisogna valorizzare i medici pubblici e l’”intramoenia”, io sono un sostenitore della libera professione, ma dentro le maglie strette del pubblico, così è sostenibile».
La strategia dei dem è chiara: la sanità deve restare pubblica e «non si devono favorire i medici privati». FdI sembra invece sdoganare quell’alleanza tra pubblico e privato già abbracciata dall’attuale governance provinciale leghista. «Questa giunta — attacca Zeni — ha un’impostazione che segue logiche privatistiche e sono rischiose. Le convenzioni possono andare bene, ma il pubblico deve essere predominante e regista». Sono ancora una volta i numeri a definire il cambio di passo: «Prima il privato impattava sul bilancio nella percentuale del 5%, in questi anni è salita al 20%». Altro tema è il territorio, «che paga meno elettoralmente», osserva Zeni e punta l’attenzione sulle case di comunità, previste nei fondi del Pnrr. «Sono una partita vitale, ma bisogna fare degli approfondimenti per capire cosa metterci dentro, che tipo di professionalità, bisogna coinvolgere il territorio». Lo «Spazio argento» potrebbe avere un ruolo fondamentale, «perché è stata una rivoluzione culturale — riflette — e attualmente non serve a niente se non come sportello. Il vero problema non è l’alcol, come sostiene il direttore generale Antonio Ferro, ma l’invecchiamento della popolazione e lo “Spazio argento” va armonizzato con le Case di comunità creando un’integrazione socio-sanitaria, perché la priorità deve essere quella di mantenere in salute le persone il più possibile ed evitare le ospedalizzazioni dando risposta alle problematiche diffuse». In questa ottica sono strategiche le figure degli infermieri di comunità e delle associazioni dei medici di base.
Poi l’affondo sull’organizzazione e «la venetizzazione della sanità»: «Serve un equilibrio tra le professionalità esterne e i professionisti che hanno un progetto a lungo termine in Trentino. Il problema della carenza di medici è legato ai temi della valorizzazione delle professionalità e qui c’è qualcosa che non funziona nella catena di comando che incide sull’attrattività». Per Zeni alla base c’è un problema di sistema e organizzativo: «La crisi del S. Chiara è legata non solo alla struttura, ma i problemi organizzativi». E per il nuovo ospedale? «Bisogna accelerare sulla nomina del commissario».
Sulla predominanza del pubblico è d’accordo anche Filippo Degasperi di Onda: «Il servizio deve essere garantito dall’ente pubblico, non dal privato. Se esternalizziamo vuol dire che stiamo fallendo. Quando ti sei legato a doppio filo al privato, poi questo ha pretese. Siccome poi ti ha in pugno, le pretese vanno assecondate».
Non manca l’affondo al centrodestra: «Quello che ha fatto la maggioranza nella sanità è stato creare livelli di burocrazia. Un dirigente medico sopra la sua testa ha 7-8 livelli (il direttore sanitario, il direttore di distretto... tutti direttori!). Noi crediamo ci si debba muovere al contrario: bisogna coinvolgere chi lavora».
Una critica in cui trovano spazio anche le nuove strutture: «Con i soldi del Pnrr che prevederà le case della comunità, le idee del Not e del Nuovo Ospedale di Cavalese sono vecchie. E lì servirà un ragionamento di rete: in Val di Fiemme e Fassa si sta generando un ingorgo insostenibile. Ci sarà la nuova cittadella della salute a Cavalese, enorme. E poi a 15 km, a Predazzo, la casa della comunità aperta 24 ore su 24, 7 giorni su 7 con ambulatori specialistici etc… Poi ad altri 15 km a San Giovanni di Fassa un’altra casa di comunità con le stesse caratteristiche. Il ragionamento su Cavalese va rifatto completamente. Non credo si sia in grado di gestire una cosa del genere