Tensioni e toni accesi tra maggioranza e minoranza nel corso del dibattito in consiglio provinciale per la modifica del requisito dei 10 anni di residenza in Trentino per beneficiare dell'assegno di natalità. Il disegno di legge firmato da Alessandro Olivi è stato bocciato.
"Il Dolomiti", 10 novembre 2022
Gli esponenti dell’opposizione hanno bollato la norma della Provincia a trazione leghista come razzista e discriminatoria, in particolare nei confronti delle persone extracomunitarie, del cui arrivo e della cui permanenza nel nostro territorio il Trentino ha grande bisogno a fronte del calo della natalità e a sostegno dell’economia.
Il ddl di Olivi aveva l'obiettivo di ridimensionare da 10 a 2 anni di residenza il requisito, criterio che la magistratura nei mesi scorsi ha ordinato di rimuovere. A oggi la Giunta Fugatti ha solamente disapplicato con una delibera che ha valore amministrativo, ma vuole resistere in appello contro la sentenza, come ha ricordato nel suo intervento l’assessore Achille Spinelli, senza rassegnarsi a modificare la legge.
"Una brutta pagina per l'Autonomia trentina", il commento di Olivi. Il consigliere dei dem ha evidenziato questo secondo obiettivo, vale a dire che il ddl propone di abolire dalla legislazione provinciale e in particolare dalla legge 1 del 2011 il vincolo introdotto di 10 anni di residenza per l’accesso agli incentivi alla natalità.
La proposta, spiega Olivi, nasce dalla convinzione che si tratta di un vincolo inutile, sbagliato e gravemente discriminatorio: questo perché un simile vincolo significa sventolare una bandiera o invocare in modo propagandistico una sorta di primazia di appartenenza alla comunità trentina escludendo delle famiglie e inoltre senza preoccuparsi di contrastare la denatalità con azioni che invertano il trend demografico negativo.
"Il ddl - dice Olivi - vuole rendere più armonico e giusto il sistema di accesso ai benefici e alle misure varate dalla Pat a sostegno delle famiglie con figli, partendo dalla considerazione che i bambini sono tutti uguali a prescindere dal numero dei 10 anni di residenza in un territorio. Per questo anche la quota B dell’assegno unico provinciale per l’educazione dei figli si deve basare sul requisito dei 2 anni. Questo anche coerentemente con l’assegno universale introdotto dal legislatore nazionale, assegno di cui l’assegno unico provinciale è stata un’anticipazione. Il Trentino è l’unica provincia che ha nella propria legislazione una norma che subordina gli aiuti alle famiglie con figli al requisito della residenza di almeno 10 anni nel proprio territorio. Questa scelta escludente, quand’era stata introdotta, era stata considerata sanzionabile perché contraria ai principi di uguaglianza dei cittadini rispetto alle misure sociali".
Il primo ricorso contro il vincolo dei 10 anni ha ottenuto la censura della norma provinciale e il tribunale di Rovereto ha ordinato all’amministrazione provinciale l’immediata disapplicazione di questo dispositivo. "Si è trattato di una brutta pagina per la reputazione dell’autonomia provinciale - evidenzia Olivi - che dispone di un welfare rigoroso, serio, non assistenzialista che ha fatto della solidarietà e dell’inclusione un elemento distintivo. La Giunta provinciale si è trovata obtorto collo costretta ad adottare una delibera che ha disapplicato in via amministrativo la norma censurata dallo Stato perché discriminatoria".
Ma la norma sui 10 anni nella legislazione provinciale c’è ancora. E Olivi ha ricordato che in Commissione la maggioranza ha preferito non accogliere la sua richiesta di proporre un atto di coordinamento tra le norme. Sarebbe stato giusto uniformare la legislazione provinciale a quella nazionale riducendo il requisito della residenza da 10 a 2 anni.
Dal punto di vista istituzionale è per Olivi necessario che tale decisione sia fatta propria dal Consiglio provinciale che a suo tempo ha approvato la norma che è stata disapplicata e tuttavia ancora esistente: "Il carattere discriminatorio di questa norma impone di toglierla dal nostro ordinamento. Cosa che sarebbe coerente con le scelte compiute nel frattempo dalla Pat in materia di misure a sostegno delle famiglie. Dopo il bonus bebè infatti la Giunta ha introdotto altre due misure: il prestito alle famiglie che prevede il requisito dei 2 anni di residenza e il contributo una tantum per dotare le famiglie numerose di risorse finanziarie fin dalla nascita del terzo figlio o dei successivi con riferimento al reddito e a coloro che risiedono da almeno 2 anni in Trentino".
Il consigliere in quota Partito democratico ha inoltre spiegato che ai capigruppo è pervenuta una nota da alcune associazioni, dai sindacati, dalle Acli, dal Forum delle famiglie, dalla Commissione pari opportunità e da don Cristiano Bettega, per correggere questa distorsione giuridica e culturale. "Non c’era bisogno di attendere il giudizio della magistratura per rimuovere il vincolo irragionevole dei 10 se si vogliono sostenere le politiche di inclusione aiutando le famiglie ad inserirsi nelle comunità. Olivi ha esortato a una corale assunzione di responsabilità nel valutare questo suo ddl. Il nostro Statuto di autonomia è un pezzo di quella Costituzione che censura la legge provinciale".
L'assessore Spinelli ha ricordato che la Pat si è adeguata alle sentenze ma non ha rinunciato a fare appello a difesa della scelta del requisito dei 10 anni. E l'ha fatto ritenendo che sia un suo diritto adottare regole provinciali in quest’ambito. Sul ddl è poi entrato dettagliatamente nel merito dei 2 articoli del provvedimento di Olivi spiegando le ragioni del "No" della Giunta a questa proposta, che attende l’esito del contenzioso dovuto al ricorso in appello.
Le minoranze hanno evidenziato che la scelta è sbagliata dal punto di vista demografico e economico, mentre la maggioranza ha difeso la norma.
"La previsione del periodo di dieci anni, poco significativa dal punto di vista giuridico, consiste di fatto nel risultato di una scelta politica che vuole meglio tutelare quei cittadini che da più tempo risiedono sul territorio", spiega Mara Dalzocchio (Lega), mentre l'ex presidente Ugo Rossi ha giudicato sbagliata la norma sui 10 anni di residenza chiesti per l’accesso all’assegno di natalità innanzitutto dal punto di vista etico. "Mettere non 2 o 3 anni ma 10 anni significa voler marcare una differenza troppo forte dando l’idea che si voglia proprio discriminare. Ma l’errore di questo requisito è anche pratico. Perché se l’obiettivo è aumentare i tassi di natalità in Trentino, il requisito dei 10 anni scoraggia le famiglie straniere che vogliono rimanere e decidono di vivere nella nostra provincia e avere figli. E questo nonostante nel nostro territorio vi sia un gran bisogno di forza lavoro".
L’Aula ha poi esaminato e respinto con 19 voti contrari e 11 "Sì" a favore del ddl.