Sorprende sempre la pacata lucidità con cui Giorgio Tonini entra nel merito delle questioni, anche quando non sono facili da dipanare. L’argomento dell’intervista è scontato: la politica, quella nazionale, ma soprattutto quella trentina.M. Marcantoni, "Il nuovo Trentino", 10 novembre 2022
Un argomento che Tonini ha “nel sangue”, lo si avverte dalla padronanza con cui conduce la riflessione. A guidarlo è un concetto chiave, una sorta di mantra: “Il PD è vincente quando non occupa la scena con piglio identitario, ma la costruisce coinvolgendo gli alleati. La dimostrazione pratica sta nei fatti: basta saperli, meglio sarebbe dire volerli, guardare”. Questo sguardo, riflessivo ma senza sconti, è la cifra più pregiata dell’intervista.
Parte da lontano, Giorgio Tonini, da quel 2018 che ha visto dissolversi la potente compagine del centrosinistra autonomista.
“Lo shock provocato dalle elezioni politiche, con il disastro totale del centrosinistra autonomista, fu violentissimo. La risposta non è stata però quella di serrare le file, rimanendo uniti e mettendo in atto le necessarie contromisure. Le conseguenze sono quelle che oggi constatiamo”.
Il passaggio successivo è meno sofferto, quello delle elezioni amministrative. “Alle comunali del 2020 avevamo due questioni da affrontare. La prima era dimostrare che Stalingrado reggeva, cioè che il Trentino delle città restava orientato sul centrosinistra. Se la Lega avesse sfondato anche a Trento, Rovereto e gli altri centri urbani della provincia, la disfatta sarebbe stata totale. La seconda era ricostruire i rapporti con il PATT, interrotti dopo la vicenda Rossi, aprendo il dialogo, confrontandosi alla pari, valutando la possibilità di candidati sindaci in comune. Nei confronti dell’area civico-popolare il Pd ha invece cercato di favorire la ricostituzione di qualcosa che fosse erede di ciò che Dellai aveva costruito negli anni precedenti. Serviva un PD capace di costruire, un PD generativo”.
Il termine generativo, molto usato in altri campi, nel welfare in particolare, in politica lo si sente poco. Chiedo al mio interlocutore il perché di questo termine. “In una fase dove l’obiettivo era ricomporre, non solo far convergere, era necessario adottare un metodo attento alla pluralità dei sentire politici e capace di favorire l’aggregazione. Bisognava avere un approccio generativo, nel senso più letterale del termine, molto flessibile, rispettoso delle diversità, non egemonico, capace di valorizzare i propri interlocutori”. Quello che Tonini sta descrivendo è un approccio completamente diverso da quello di solo qualche anno prima, molto più aperto e costruttivo.
“La leadership era passata al PD, ma era la leadership di un’area devastata e destrutturata: di fatto perdente. La grande sfida era quindi ricostruire un sistema plurale, con diverse possibilità di partecipazione e di adesione, che fosse realmente competitivo”.
Questo ha portato all’operazione Ianeselli sindaco di Trento? “Franco Ianeselli è una figura non del PD, ma vicina al PD, gradita a molti degli ex alleati, il PATT in primo luogo. Superando qualche malumore identitario nel PD, si è costruita un’operazione dove ciascuno ha potuto riconoscere la sua impronta” .
L’altra operazione fondamentale è stata Rovereto: il metodo è stato lo stesso? “Era un banco di prova ancora più importante di Trento, perché il problema era verificare se l’operazione poteva andare oltre alla roccaforte storica del PD, Trento appunto. Qui l’operazione Valduga è stata particolarmente complicata, perché nelle elezioni precedenti lo stesso Valduga aveva sconfitto il PD, che per tutta la consiliatura gli aveva fatto un’opposizione dura. Il pregresso pesava molto”.
È stata un’operazione fondamentale che ha portato non solo Valduga a Sindaco, ma anche i Civici, nella loro composita articolazione, ad incontrare il centrosinistra. Segnali positivi che hanno caratterizzato anche altri Comuni della provincia. Per ragioni particolarissime abbiamo perso Riva, dove il PD non è riuscito a non isolarsi, ma nel resto abbiamo avuto una presenza più che significativa. E poi, nelle valli non c’è stata la leghizzazione del tessuto civico tradizionale, che è rimasto autonomo e quindi contendibile. Non c’è stata la venetizzazione del Trentino”.
Così arriviamo alle politiche, la prova generale per verificare se con i simboli di partito in campo le esperienze positive emerse nelle amministrative del 2020 sarebbero state confermate.
“Anche in questa occasione, non senza sofferenza interna al PD, nell’aspro confronto interno la spinta identitaria ha ceduto il passo a quella coesiva, nello stesso spirito generativo adottato in occasione delle amministrative: far crescere gli alleati per far crescere il sistema, lo schieramento nel suo insieme”.
Era un intento indubbiamente nobile, osservo io, ma nella realtà non mi pare che sulla scelta dei candidati le cose siano andate proprio lisce.
“È stato un passaggio duro, in particolare con Donatella Conzatti, in quanto era stata eletta dal centrodestra e si portava appresso l’eredità della scissione renziana. Anche con Pietro Patton, non è stato semplice. La domanda era: perché dare ad una figura indipendente l’unico Collegio realmente contendibile? Tutto questo è stato superato e la scelta si è rivelata vincente perché in un contesto di sconfitta nazionale, quindi con il vento contrario, c’è stato un sostanziale pareggio”.
C’è chi non è così ottimista e al risultato delle politiche dà un valore meno rilevante. “Al Senato, dove si misuravano le due coalizioni, con il PATT in solitaria, il centrodestra ha ottenuto 103.500 voti e il centrosinistra 100.600. Una differenza di 2900. Dal 2018 ad oggi è il gap minore registrato tra i due schieramenti”.
Numeri a parte, insisto io, l’esito delle nazionali è risultato importante anche sul piano degli assetti politici? “Certamente sì, perché dei sei Senatori che la nostra Regione doveva eleggere due sono andati alla Svp, con qualche vistosa perdita di voti; due senatori sono andati al centrodestra; due Senatori al centrosinistra, conquistati nei due collegi numericamente più importanti della Regione: Pietro Patton a Trento e Luigi Spagnolli a Bolzano”.
Questo risultato non ha consentito che si realizzasse l’operazione Gruppo delle Autonomie nel modo che, a quanto ne so, Calderoli, insieme ad Achammer, aveva prefigurato: “E’ vero. Penso che l’obiettivo originario fosse quello di mettere a disposizione i due Senatori della Lega dati per sicuri, Elena Testor in Valsugana e Martina Loss a Trento, per costituire il Gruppo delle Autonomie. Quindi una composizione che avrebbe visto insieme la SVP con la Lega, anziché, come è accaduto, con Patton e Spagnolli. In più, a complicare le cose, è stata l’elezione a Rovereto di Micaela Biancofiore che, come è noto, con la SVP non ha certo rapporti facili. Dal punto di vista numerico c’è stato sostanzialmente un pareggio, ma da quello politico, dopo quattro anni buoni di sostanziale marginalità, il centrosinistra è ritornato nel gioco regionale attraverso la costituzione del Gruppo delle Autonomie con i nostri senatori”.
A questo punto, e in questo nuovo contesto politico, si apre la partita delle prossime elezioni provinciali del 2023. Quali le novità? “Oggi il centrosinistra non si trova nella situazione di prima, dove c’era un campo organizzato e uno con solo macerie. Il confronto è tra due schieramenti dove la Lega ha perso molti più voti di quelli che ha guadagnato Fratelli d’Italia e dove anche Forza Italia ha avuto un’emorragia pesante. Il saldo rispetto alle elezioni del ‘18 è di circa 20 000 voti in meno da parte del centrodestra, mentre il centrosinistra ne ha presi quasi 10 000. E questo col vento nazionale che gonfiava le vele di Giorgia Meloni e senza il PATT, che nel 2018 era nel centrosinistra autonomista”.
Quindi la lettura che emerge dall’interpretazione di Tonini è quella di due blocchi alla pari con in mezzo un’area importante, il PATT, che ragionevolmente può fare la differenza. Va da sé che i due schieramenti cercheranno di contendersi questo cruciale elettorato: “Il centrosinistra può mettere in campo il modello sperimentato alle amministrative e alle politiche, che è un modello abitabile per il PATT, perché si è visto che quando alle amministrative ha fatto accordi con il PD, questi sono stati vincenti. Anche alle politiche abbiamo dimostrato che si può costruire una coalizione aperta a forze diverse, senza la necessità di essere omologati. Di conseguenza, allearsi con il PD non significa infeudarsi in uno schieramento nazionale, ma fare parte, con pari dignità, di un’impresa collettiva autonoma e autonomista”.
Però all’interno del PD sento parlare, con una certa insistenza, di primarie, ritenendole il metodo più idoneo per risolvere democraticamente le questioni spinose. “Le primarie, e più in generale i metodi di ampio coinvolgimento partecipativo, sono nel DNA del Partito Democratico. Ma il Pd sa che le primarie vanno bene quando l’assetto è sufficientemente definito e si deve individuare chi lo guida. Oppure quando si decide di giocare la partita in proprio. Ma non è così quando l’assetto lo si deve costruire”.
In conclusione, chiedo a Tonini un’ultima riflessione su come il PD dovrà affrontare la prova del fuoco delle prossime elezioni provinciali. “Per come la vedo io, penso che il PD debba continuare nel percorso portato avanti in questi ultimi quattro anni. Un percorso generativo, in grado di promuovere un sistema ad appartenenze multiple, flessibile, che non adotti lo stesso schema in contesti diversi. Un sistema organizzato e coeso che ha già dimostrato sul campo di produrre buoni risultati”.
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