Sembrava impermeabile, la Südtiroler Volkspartei, alla crisi che trent'anni fa ha sventrato la politica italiana e aperto una transizione che ancora fatica a trovare sbocco in un nuovo equilibrio. E invece. ha scritto ieri il direttore Faustini, la Svp sembra voler fare di tutto per autodistruggersi, anche a rischio di disperdere un patrimonio storico.Giorgio Tonini, 4 aprile 2022
Oltre a mettere a repentaglio la governabilità della nostra autonomia speciale.Forse è ancora possibile che la drammatica lacerazione interna si ricomponga e, col tempo, si rimargini. Ma non si può escludere un esito opposto, simile a quello conosciuto, trent'anni fa, su scala nazionale, dalla Democrazia cristiana. Come e forse più della Dc, la Svp è infatti un composto instabile. Non a caso si definisce "Sammelpartei": partito di raccolta, su basi etnico-linguistiche, di correnti politiche, sociali, economiche, territoriali, perfino culturali, molto (e sempre più) diverse tra loro. Queste diversità possono convivere e collaborare, nello stesso partito, solo in presenza di una minaccia esterna e di una grande, ambiziosa progettualità.
Fu su queste due basi, che Alcide De Gasperi "inventò" la Dc: un partito laico, aconfessionale, di ispirazione cristiana, come il Partito popolare di don Sturzo, ma anche il partito dell'unità politica dei cattolici, dai più progressisti ai più moderati. Un composto instabile, che si è affermato ed ha resistito, finché è durata la minaccia del comunismo sovietico e l'egemonia del Pci sull'opposizione politica e sociale in Italia: una minaccia e un'egemonia che hanno impedito per decenni, nel nostro Paese, il formarsi di un'alternativa di governo che non fosse un'alternativa di sistema. In questo contesto, la Dc doveva riuscire ad essere sempre, come diceva Aldo Moro, "alternativa a se stessa": capace di leggere, interpretare e rappresentare il cambiamento culturale e sociale, per scongiurare il pericolo di finire isolata e travolta, insieme alla "difficile" democrazia italiana. Quando, dopo il 1989, la minaccia comunista ha cessato di esistere, la pressione esterna è venuta meno e la Dc si è scoperta per quello che nel frattempo era diventata: una precaria confederazione di correnti, ormai ridotte a mere cordate di gestione di un potere fine a se stesso, attraverso l'intreccio perverso tra politica e affari. Nel giro di due anni, tra il 1992 e il 1994, il partito di maggioranza relativa per quasi mezzo secolo è stato letteralmente spazzato via.
La storia non si ripete mai in modo identico e il parallelo tra Dc ed Svp non può essere tirato oltre un certo limite. Ma le analogie sono impressionanti. Anche per la Svp è venuta meno la minaccia esterna. L'autonomia speciale ha tanti detrattori e le spinte neocentraliste sono forti oggi come non lo erano da molto tempo. Ma non c'è più il nemico esistenziale, quello che obbliga a serrare i ranghi per difendersi. E infatti, dopo aver a lungo governato, in Provincia e in Regione, con il centrosinistra autonomista, la Svp si è acconciata in questa legislatura a governare anche col centrodestra. È vero, Fratelli d'Italia è fuori dalla maggioranza provinciale di Bolzano e da quella regionale. Ma sostiene la giunta leghista in Trentino, con la quale la Svp collabora in Regione. Insomma, non c'è più nessuna vera "conventio ad excludendum", perché non c'è più nessun nemico politico che possa fare davvero paura all'autonomia speciale.
Se la pressione esterna è sostanzialmente venuta meno (e questa in sé sarebbe una buona notizia), la brutta notizia è che parrebbe essersi molto appannata anche la capacità progettuale dell'autonomia e della stessa Svp. A cinquant'anni dal secondo Statuto speciale, conquista storica dei sudtirolesi e fiore all'occhiello della democrazia italiana, l'autonomia pare aver perso la sua capacità dinamica, sia a Trento che a Bolzano. Il cantiere del terzo Statuto, avviato con grandi speranze nella legislatura passata, giace abbandonato come quello del nuovo ospedale di Trento. La legislatura sta ormai per imboccare l'ultimo giro di boa, senza che le due maggioranze che governano le Province autonome e, insieme, la Regione, abbiano fatto intravedere un barlume di pensiero sul futuro dell'autonomia.
La Regione è un malato terminale tenuto in vita in modo artificiale, incapace di esercitare perfino le poche, ma importanti competenze delle quali ancora dispone. Basti pensare al caso Autobrennero, una società strategica per il futuro del corridoio transalpino più importante d'Europa, da sempre controllata dal nostro sistema autonomistico regionale e che si muove invece come una "public company", nella quale è il management a decidere la strategia, posto che l'azionista di riferimento non è in grado di definirla, né tanto meno di imporla.Allo stato precadaverico della Regione, fa da contrappunto quello perennemente embrionale, evidentemente crioconservato, dell'Euregio: la grande, affascinante intuizione di una Regione europea transfrontaliera non riesce a trasformarsi in progetto, attraverso la necessaria iniziativa congiunta, di Trento, Bolzano e Innsbruck, a Roma, Vienna e Bruxelles, per un trattato internazionale che riconosca e poi incorpori, nella Costituzione italiana e in quella austriaca, quella che potrebbe diventare un'esperienza pilota nell'ambito di un'Europa federale.
In un quadro così statico, le due Province autonome vivono ormai da separate in casa, collaborano in quella che al più è una ordinaria manutenzione delle relazioni con lo Stato (si pensi all'accordo finanziario, che ha solo aggiornato i patti preesistenti), nel mentre la specialità si va scolorendo in ordinarietà della nostra autonomia. La gestione amministrativa prevale sul governo politico, la distribuzione delle risorse sulla passione per le riforme, gli intrecci tra politica e affari sul confronto sul futuro.
Il problema è che per ritrovare l'unità interna, la Svp non potrà più contare sulla forza coesiva della minaccia esterna. Solo un rilancio di progettualità e di visione, nella prospettiva di un'autonomia dinamica, potrà dunque scongiurare per il partito di raccolta sudtirolese un epilogo analogo a quello della Dc. E per la nostra autonomia speciale una crisi di sistema, come quella che travolse la Repubblica dei partiti. Non a caso, la nostra autonomia speciale ha l'aquila come simbolo: forse perché deve saper volare alto e guardare lontano. Altrimenti non sopravvive.
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