Diceva Theodore Roosevelt, presidente degli Stati Uniti all'inizio del secolo scorso, che in politica estera bisogna tendere una mano al proprio interlocutore e tenere l'altra dietro la schiena, con in pugno un bastone. Penso che non aver seguito questi due consigli, nei rapporti con la Russia di Putin, sia il vero errore dell'Occidente.
Giorgio Tonini, 11 marzo 2022
Errore commesso da Usa e, soprattutto, Europa, rispetto alla guerra di aggressione all'Ucraina e alla drammatica crisi internazionale che ne è derivata. Un doppio errore, al quale è urgente porre rimedio.
Cominciando dalla mano tesa. Non si tratta di fare sconti a Putin, che ha irresponsabilmente imboccato una strada senza via d'uscita e senza ritorno. Anzi, la prima cosa da fare in questi casi è dirci e dire la verità. Putin sta stuprando l'Ucraina e sta tenendo tutti sotto la minaccia di farsi saltare in aria, insieme alla sua vittima e a tutti noi. Dinanzi a questa realtà, gli slogan pseudo-pacifisti sono semplicemente penosi. Il cosiddetto "neutralismo attivo" assomiglia terribilmente ad un "lasciateci in pace" gridato dalla finestra, mentre sotto casa una persona inerme viene aggredita e chiede aiuto. No, non ci si può girare nel letto e continuare a dormire, bisogna fare qualcosa di efficace e proporzionato per fermare l'aggressore e aiutare la vittima. Giusta dunque la condanna a stragrande maggioranza, da parte dell'Assemblea generale dell'Onu; giuste le sanzioni più dure alla Russia, anche sapendo che imporranno un prezzo molto alto anche a noi; ma giusto anche l'invio di aiuti all'Ucraina, armamenti compresi, deciso dall'Europa unita e da molti governi, tra i quali quello italiano.
E tuttavia, non dobbiamo commettere l'errore di appiattire la Russia su Putin. Putin è un dittatore. Come tutti i dittatori, ha bisogno della guerra per mantenere il suo potere. Ma Putin la sua guerra la perderà, comunque vada la battaglia dell'Ucraina. Perché il disegno di ricostruire qualcosa che assomigli all'impero sovietico, quanto meno una vasta area di influenza russa, non ha le basi materiali per riuscire. La Russia di oggi non è l'Unione sovietica del secolo scorso. Dall'Urss, la Russia ha ereditato l'arsenale atomico e non è poca cosa: con quegli ordigni, comandati dalla sua valigetta, Putin può credibilmente minacciare il mondo di distruzione globale. Ed è questa la ragione per cui non possiamo intervenire militarmente, in modo diretto, a fianco dell'Ucraina. Ma la bomba atomica non è sufficiente per creare e mantenere un impero: a Putin servirebbe innanzi tutto una grande forza economica. E invece la Russia ha un pil (nominale) di dimensioni inferiori a quello dell'Italia, attorno ai 1.500 miliardi di dollari (Banca mondiale, 2020), meno di un decimo degli Usa, poco più di un decimo della Cina, meno di metà della Germania; ha un apparato produttivo primitivo, basato sull'export di materie prime e al più di armi; ed ha una élite economica (i famosi "oligarchi") che deve la sua esorbitante ricchezza non all'intraprendenza industriale, ma alla mera rendita sullo sfruttamento delle risorse naturali, a cominciare da gas e petrolio, consentita dalla vicinanza-complicità col potere politico.
Ma la Russia di Putin non è neanche attrattiva sul piano ideologico, come era stata per molti decenni l'Unione sovietica, grazie alla tragica utopia del comunismo: tutto al contrario, il nazionalismo russo, fuso con la dittatura putiniana, respinge e spaventa, come dimostra la corsa di tutti i paesi ex-satelliti dell'URSS a mettersi al riparo sotto l'ombrello della Nato.
Perfino sul piano militare, la Russia (atomica a parte) è solo una media potenza: anche se il budget a disposizione della difesa assorbe il 4,3 per cento del pil (dati 2020 del SIPRI di Stoccolma), proprio a causa della modestia del prodotto, la Russia ha una spesa militare attorno ai 60 miliardi di dollari, contro i quasi 800 degli Usa, i 250 della Cina e i 230 (purtroppo finora divisi in 27 debolezze) dell'Unione europea, che diventano 300 col Regno Unito.
Dati alla mano, il disegno imperiale di Putin sembra dunque destinato a fallire e presto la Russia dovrà scegliere se diventare il fornitore e partner subalterno della Cina, o se aprirsi ad un rapporto nuovo con l'Occidente. È qui che l'Europa, insieme agli Stati Uniti, deve tendere la mano, non a Putin, ma alla Russia. In nome della storia e della cultura russa, che sono parte integrante ed essenziale della civiltà europea, e di un comune progetto di un grande Nord del mondo: forte e aperto, competitivo e solidale, libero e quindi poliarchico e policentrico.
Una politica per la Russia potrebbe diventare il primo vero segno di vita di una politica estera europea comune, dopo anni di dannosa competizione interna tra interessi nazionali, che ha ridotto gli europei alla sostanziale irrilevanza in tutti i teatri, compresi quelli più vicini: Mediterraneo, Africa, Medio Oriente e appunto Russia. Lo stesso schema va applicato anche alla difesa. Non serve spendere di più. La spesa militare europea è già la terza (con gli inglesi la seconda) del mondo, quattro-cinque volte quella russa. Serve spendere bene, facendo sistema, dando vita ad una vera forza armata europea, la seconda gamba della Nato, in sinergia attiva e non in mera dipendenza da quella americana. E va applicato, quello schema (meglio tardi che mai) alla politica energetica, che deve anch'essa diventare comune, con l'obiettivo della piena autonomia, come la politica di Obama ha assicurato agli Stati Uniti, o quanto meno, nell'immediato, di una più forte diversificazione e di un rafforzamento del potere contrattuale sui mercati. Accanto alla mano tesa alla Russia, è questo il nodoso bastone che dobbiamo impugnare: prendere coscienza della forza dell'Europa unita, tutto il contrario del suicidio sovranista, non a caso per anni interessatamente assistito da Putin. «Se siamo uniti siamo forti - diceva Degasperi - se siamo forti saremo liberi».