Con la consueta lucidità d'analisi, il Presidente della Repubblica ha individuato nel lavoro il nodo centrale per misurare gli effetti positivi o meno del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. Durante la cerimonia per la consegna delle prestigiose «Stelle al Merito del Lavoro», il Presidente Mattarella ha sottolineato anzitutto la gamma dei deficit da colmare sul piano delle politiche del lavoro per le donne e per i giovani.
Bruno Dorigatti, 16 novembre 2021
Proprio la centralità del lavoro, della sua sicurezza e delle sue prospettive sembra invece sfuggire alla complessiva politica di governo della nostra autonomia speciale; una politica che pare sempre più in affanno nel cogliere la rilevanza economica e sociale del tema del lavoro, soprattutto in quella grande dimensione di ripresa nazionale e locale che trova una straordinaria spinta appunto nel Pnrr. Forse ciò che serve è una visione ampia e non settoriale dei problemi sul tappeto.
Non si può infatti investire sul lavoro ed affrontare quasi con fastidio le istanze sul rinnovo dei contratti pubblici. Dobbiamo considerare che i salari dei lavoratori italiani sono i più bassi d'Europa e ciò non è accettabile. Così come è necessario potenziare la qualità del lavoro, oltreché la quantità degli occupati, anche per rispondere alle domande esigenti del mercato del lavoro. Al contempo, a mio parere, diventa importante rafforzare l'incontro fra domanda ed offerta di lavoro nello strategico settore della ricerca, sulla quale il Trentino ha già espresso molte potenzialità ed altrettante ne può portare in luce.
Quello che serve insomma non è un intervento "una tantum", bensì l'elaborazione di serie e nuove politiche del lavoro, secondo misure di globalità e non solo per la composizione, ma anche per la prevenzione del conflitto sociale, attraverso politiche reattive ed in grado di essere cosa ben diversa dall'estenuante tatticismo delle incertezze e della sola ricerca del consenso. Sarebbe necessario un nuovo "Patto per il Lavoro" che potrebbe rivelarsi di straordinaria utilità, anche come strumento accessorio alla realizzazione degli obiettivi di sviluppo delineati dal Pnrr, ma soprattutto come veicolo di un ritrovato ed imprescindibile dialogo sociale. Da anni la comunità europea caldeggia il dialogo sociale che veda la partecipazione dei lavoratori alla vita delle imprese, ma il silenzio, non solo della politica, è assordante. Purtroppo, anche un mio disegno di legge giace tra la polvere fra le carte del Consiglio Provinciale. Penso che portare i lavoratori dentro i consigli di amministrazione, in una fase storica di profonda crisi dell'intero sistema, sia una strada che possa ridare fiato ad una coesione sociale estremamente utile e necessaria. Siamo di fronte ad una polverizzazione dei soggetti intermedi della società con un indebolimento delle rappresentanze delle Associazioni imprenditoriali e Sindacali: crescono i contratti di lavoro cosiddetti "pirata", aumenta la precarietà e la frantumazione dei diritti.
Registriamo un aumento pauroso delle disuguaglianze che la storia non ha mai visto. Continuare con la tattica dello struzzo, che nasconde il capo nella sabbia per non vedere ciò che attorno gli accade, rivela una debolezza miope, in un momento in cui tutte le risorse umane ed economiche vanno orientate al meglio delle loro possibilità, per permettere anche al Trentino di transitare dalla crescita della ripresa allo sviluppo sostenibile stabile e continuo. Occorre fare sintesi fra formazione professionale e mercato del lavoro, anche ripensando strumentazioni, ottime certo, ma che oggi sono datate e devono stare invece dentro i profondi cambiamenti della modernità; occorre innovare e costruire "reti" del lavoro; spingere sul fronte delle nuove professioni e della creatività legata alle dinamiche dell'informatizzazione globale; incanalare la forza-lavoro costituita dalle immigrazioni, sia da oriente come dal meridione dell'emisfero, attraverso offerte formative più flessibili rispetto alla domanda del mercato.
È necessario anche stringere un nuovo legame con l'Università e più in genere con le agenzie formative, per favorire la nascita di nuovi profili professionali. Potrebbero essere questi gli obiettivi di quadro di un accordo complessivo ed ormai imprescindibile. Ma non solo. Molte altre possono essere le proposte che da un sereno confronto fra tutti gli esponenti del tavolo dell'occupazione (Sindacati, Associazioni imprenditoriali ed ente pubblico) potrebbero scaturire, a patto che si superino i rispettivi pregiudizi ed esista una vera volontà politica di intervento. Solo così si potrebbero garantire orizzonti di speranza alle nuove generazioni e lasciare a loro una realtà migliore di quella che abbiamo raccolto noi. È la lezione dei ragazzi di Cop26 a Glasgow. Varia solo il tema, non le modalità per affrontare il futuro.Bruno Dorigatti