Le discussioni che hanno avuto luogo in Consiglio provinciale nelle scorse settimane sul Nuovo Ospedale di Cavalese (NOC) e sul Corridoio ferroviario del Brennero, hanno confermato una tendenza preoccupante, già emersa recentemente in Aula sulla Valdastico: l’abdicazione da parte della giunta Fugatti a un ruolo di governo e di regia sulle partite più strategiche per il nostro territorio.Alessio Manica, "Corriere del Trentino", 11 novembre 2021
A queste si collega l’affrettato cambio al vertice del Servizio Urbanistica, da sempre uno dei centri nevralgici per il governo dell’Autonomia, che se da un lato si vorrebbe far passare come una normale rotazione amministrativa tra dirigenti, tradisce in realtà un latente fastidio verso la pratica della pianificazione, il rispetto delle procedure necessariamente complesse e la continua voglia di piegare le regole ai propri bisogni e alle proprie esigenze, con buona pace della valorizzazione delle competenze costruite nel tempo.
Avvicendamento che guarda caso arriva proprio in un momento in cui si stanno aprendo delle partite fondamentali dal punto di vista urbanistico. Le preoccupazioni espresse da tecnici ed amministratori su queste pagine mi paiono quindi legittime e fondate. Nella discussione in Aula è emerso chiaramente come il presidente e la maggioranza fatichino a comprendere il vulnus più grave contenuto nella proposta privata del nuovo ospedale di Cavalese: il fatto che non sia l’ente pubblico a decidere dove e come realizzarlo, attraverso la pianificazione urbanistica — ovvero una valutazione ampia dello sviluppo di un territorio che analizzi i molteplici impatti di una scelta — e la programmazione sanitaria. Al contrario tale funzione fondamentale di regia viene superficialmente delegata a un privato, peraltro con una palese violazione della normativa provinciale che vieta la proposta di project financing in aree non già destinate all’uso previsto.
Il progetto di partenariato pubblico-privato per il NOC dovrebbe infatti insediarsi in quella che oggi è un’area di protezione fluviale e agricola di pregio, e ciò nonostante l’articolo 28 della legge provinciale 2/2016 disponga che «non sono ammissibili proposte in contrasto con il piano urbanistico provinciale, compresa la disciplina delle invarianti, quando l’attuazione di queste proposte impone l’adozione di una variante al piano». La ratio della norma va evidentemente ricercata nella necessità di salvaguardare il ruolo pianificatorio dell’ente pubblico, che qua appare invece soccombere all’interesse privato. Non è un errore coinvolgere e collaborare con i privati, ma è un errore pensare che a questi possa essere anche delegata una funzione di governo, e quindi la valutazione in ordine alla pubblica utilità complessiva, che spetta esclusivamente a chi amministra pro tempore il potere delegatogli dal corpo elettorale, e va fatta a monte e indipendentemente da qualsiasi valutazione di singole proposte progettuali. Sulla vicenda del NOC non aiuta poi la totale mancanza di trasparenza in ordine alla procedura di partenariato, insabbiata e nascosta per più di un anno, e che ha provocato un ritardo nell’avanzamento del progetto per una nuova struttura adiacente a quella esistente senza che nessuno potesse esprimersi in merito. Sulle opere pubbliche non ci può essere mancanza di trasparenza e di coinvolgimento della popolazione e degli enti locali.
Lo stesso atteggiamento è emerso nel corso delle molte discussioni fatte sul tema Valdastico, per la quale la giunta non si è finora premurata di fornire un solo dato relativo ai flussi di traffico, alla mobilità, all’impatto ambientale o paesaggistico, ma si è limitata a sostenere l’utilità dell’opera dicendo che ai giorni nostri non si può «dire di no a un’infrastruttura finanziata da altri». Non importa se l’opera serve, a chi serve, che impatto avrà sulle comunità locali, sull’ambiente, sul paesaggio, sull’idrogeologia delle valli del Leno, quanto traffico porterà — se ne porterà — in Vallagarina e sull’A22 ecc. No, per Fugatti conta solo che a pagare l’opera siano gli altri, con buona pace dell’adagio per cui «l’Autonomia è diritto di sentirsi in dovere».
La stessa rinuncia a governare la complessità delle grandi sfide del nostro presente da parte della giunta è emersa nel recente dibattito sul Corridoio ferroviario del Brennero, laddove la maggioranza a guida leghista ha bocciato — senza nemmeno partecipare al dibattito — una mia mozione con cui la si impegnava, data l’accelerazione sul bypass di Trento grazie ai fondi del Pnrr, a chiedere a RFI l’immediata progettazione di tutta la tratta trentina, dalla chiusa di Borghetto a quella di Salorno, onde evitare di dover subire da altri scelte dettate da comodità o mancanza di risorse. Il tutto con un percorso inclusivo e volto al coinvolgimento degli enti locali e della popolazione, come fatto anni or sono in Alto Adige, volto a tutelare quelle comunità che vivono lungo l’asse ferroviario del Brennero e che rischiano di vedere il raddoppio della ferrovia esistente con tutti i disagi che ciò potrà comportare.
Ma anche in questo caso come detto, alla richiesta di assumersi le proprie responsabilità e di essere artefice del destino del nostro territorio, la giunta ha detto no. La ricerca del consenso di alcune categorie o gruppi non può tradursi nel sistematico indebolimento del ruolo di governo dell’ente pubblico e nella subalternità dell’interesse di tutti rispetto a quello di pochi. Eppure in questo periodo in Trentino pare proprio essere così.
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