Se esiste un tempo per tacere, ne esiste anche uno, altrettanto prezioso, per parlare. È di fronte ad avvenimenti inquietanti e politicamente molto rilevanti, come quelli accaduti a Roma con l'assalto alla sede della Cgil, che prende forma il dovere di far sentire la propria voce.
Bruno Dorigatti, 15 ottobre 2021
Soprattutto quando quella altrui - ed in particolar modo quella delle Istituzioni dell'autonomia speciale, ma anche quella del mondo imprenditoriale che dall'autonomia trae benefici non secondari - si chiude in un silenzio imbarazzante.
Cent'anni fa questo Paese assisteva attonito agli assalti squadristi a quelle Camere del Lavoro, antesignane delle moderne forme di aggregazione sindacale e che furono il primo bersaglio della violenza fascista. Oggi il copione pare ripetersi, con monotona viltà, colpendo ancora una volta i presidi dei diritti e del lavoro, in quanto simboli di una democrazia che non si piega davanti a nessuna coercizione, violenta o meno che sia. Non lo ha fatto allora; non lo ha fatto durante le grandi trasformazioni sociali degli anni Sessanta e non lo ha fatto sotto il lungo e drammatico attacco terroristico che ha rischiato di travolgere le nostre esistenze e di riportare indietro l'orologio della storia.
In quegli anni, buona parte dell'attuale classe dirigente del Trentino viveva un' infanzia spensierata, mentre altri lottavano nelle fabbriche e nelle piazze contro la montante "onda nera" che, dopo le tragedie della dittatura e della guerra, provava a lambire ancora la vita civile. Ma l'anagrafe non esime dalle responsabilità e la pesante e silente assenza delle Istituzioni autonomistiche da ogni minima forma di solidarietà, dice solo di pavidità politiche poco degne di chi è chiamato al governo della "cosa pubblica". A meno che, dietro a quel silenzio non si celi altro. A meno che non ci sia, in fondo, una certa contiguità di pensiero. A meno che il trito gioco delle ambiguità non nasconda affinità poco chiare.
Al di là delle rispettive posizioni politiche, in democrazia ci sono momenti in cui ogni forma di silenzio può diventare connivenza ed è per questo che, davanti agli attacchi personali subiti dalle alte cariche provinciali, il Sindacato e la politica tutta ha saputo esprimere, senza se e senza ma, una solidarietà che oggi, non solo non è ricambiata, ma pare volutamente dimenticata. Ciò che pare contare al presente è solo l'ennesima ricerca di facili consensi: da un lato grande impegno di facciata nelle campagne vaccinali e dall'altro tacito sostegno alla vasta platea delle contestazioni, nella spasmodica ricerca, appunto, di raggranellare qualche misero votarello in più. Questa però non è politica, ma qualunquismo a buon mercato che prelude ad un neofascismo che prova a rialzare la testa e davanti al quale non possono esistere tentennamenti ed incertezze, capaci solo di mettere in discussione gli assetti democratici e con essi anche quelli autonomistici.
Se la memoria non tradisce, la scelta dell'antifascismo fu una certezza assunta, sul piano dei valori, anche dalla Lega Nord di Bossi della quale molto può essere criticato, ma non la vicinanza alle derive estremistiche ed autoritarie. Oggi quel leghismo non c'è più. Oggi appare molto più sfumata la scelta democratica di allora, dentro il simbolo di Alberto da Giussano. Oggi insomma, il leghismo salvinista in salsa locale, colpevolmente, tace e finge di non vedere. Successe anche cent'anni fa. In molti tacquero e finsero di non vedere. Fu un silenzio ed una cecità che durarono vent'anni e portarono alle leggi razziali ed alla guerra. Certo, oggi il mondo è cambiato, ma i rischi sono sempre quelli: per la democrazia, per il nostro Paese e per il Trentino.