Alcune scelte politiche della giunta provinciale, culminate con il caso Festival dell’Economia, hanno messo in luce il profilarsi di una vocazione dell’attuale maggioranza attenta alla sola coltivazione del consenso, anziché all’interesse generale del Trentino.
Bruno Dorigatti, "Corriere del Trentino", 28 settembre 2021
Con dichiarazioni povere, dalle quali emerge che tutto ciò che è stato fatto dai predecessori è comunque sbagliato, cancellano la vivacità del dibattito politico, che pare così esaurirsi solo allo scontro fra le categorie dei «buoni», che stanno con il «popolo», assecondandone ogni istinto, e quelle dei «cattivi», descritti come ripiegati nella gelosa conservazione di supposti interessi di casta. Il confronto, voluto e imposto dall’attuale linea politica, si consuma quindi nella sterile convinzione di possedere, a prescindere, la verità assoluta e la ragione indiscutibile, per il solo requisito d’aver vinto il confronto elettorale. Non c’è insomma alcuno sforzo alla ricerca del dialogo e prevale la «legge dei numeri», che è poi quella del «più forte». Essa ferisce la democrazia e con essa la nostra autonomia che si dovrebbe reggere invece sul costante scambio di valutazioni fra maggioranza e minoranze. E ciò rende quindi più fragile tutta la politica. Anche dentro la coalizione di governo il potere viene esercitato, al di là di qualche apparenza, imponendo la visione della forza politica prevalente, senza alcuna cura delle esigenze dei partner minori, immaginando anzi di poterli intercambiare fra loro, secondo necessità e circostanze.
Lo stesso atteggiamento di sufficienza pare riservato anche alle opposizioni, mentre il dibattito parlamentare langue e manca qualsiasi volontà di confronto con le minoranze, spesso mal sopportate e percepite come un inutile orpello della politica. In questo clima, il potere esecutivo, mai controbilanciato da quello legislativo ormai del tutto evanescente e prono solo alle esigenze di maggioranza, si è andato adagiando dentro un’autoreferenzialità sorda a qualsiasi ragionamento diverso dalle scelte prese in solitudine, come ben dimostra la gestione «in solitaria» della pandemia o le epurazioni di vertici pubblici non allineati, o la triste conclusione della positiva esperienza del Festival dell’Economia.
In questo clima, dove il governo provinciale pare soprattutto intento a complimentarsi con se stesso, il confronto politico manca di qualsiasi mediazione di osservatori e intermediari e di attenzione alle pluralità della società trentina. Probabilmente si tratta di fenomeni destinati ad appagare l’esigenza immediata di consenso, ma essi pongono questioni che si rovesciano sull’autonomia speciale, le cui gravi carenze attuali non possono essere attribuite sempre come esclusive responsabilità del passato. Nonostante l’argomento non sia gradito alla giunta non si può ancora proseguire a lungo senza una minima visione di prospettiva; non si può immaginare di risolvere le questioni urgenti ricorrendo all’antico rito del «panem et circenses»; non si può fingere di non vedere il pericolo istituzionale nel quale stiamo precipitando e non si può opporre a ogni critica un superbo muro di disinteresse e di colpevole silenzio. Questo non è un progetto di governo, ma solo una gestione del quotidiano. Non è scontro ideologico, bensì occupazione del potere. Non è coraggio, ma paura di perdere qualche consenso. Non è politica ma retorica, come dimostra, ad esempio, l’irrisolto problema della sicurezza e della vivibilità urbana. Peccato che, in questo quadro desolante e desolato le opposizioni appaiono, all’occhio dell’osservatore ormai esterno, ancora divise, disorientate e incerte fra l’opzione più aggressiva da un lato e la ricerca di una sorta di «pacificazione» buonista dall’altro, mentre tutte le preoccupazioni urgenti sembrano riversate sulle dinamiche interne più che sul progetto di costruzione di una credibile alternativa, nonostante qualche coraggioso tentativo dettato da preziosi residui di responsabilità. E tutto questo avviene mentre la società trentina si sta interrogando sul futuro incerto, su quale lavoro, quale sviluppo economico e quale domani dare ai nostri ragazzi, un domani che non può essere ridotto alla realizzazione di qualche sogno rockettaro. La società trentina chiede, invece, di confrontarsi con un presente e un futuro altamente variabile e mutevole, anche al fine di definire delle proprie identità e renderle capaci di affrontare gli orizzonti complessi che ci attendono.