Nell'urgenza di rincorrere sempre il presente, scambiandolo spesso per il futuro, diventa sempre più difficile attingere a quel bagaglio esperienziale ed etico del passato, riferimento per un cammini consapevole. Su queste pagine (l'Adige, 25 luglio), Walter Pruner, con passione e acutezza, ci ha ricordato quanta fecondità portò con sé il trasversale progetto asarino di oltre settant'anni fa e quale impulso diede all'assestarsi della costruzione autonomistica trentina.
Luca Zeni, 1 agosto 2021
In quel contesto di immediato dopoguerra, l' A.S.A.R. seppe catalizzare una diffusa tensione, incanalandola dentro l'incedere del dibattito politico e storico; appare opportuno riflettere su ciò che sta accadendo alla nostra autonomia oggi, mentre attraversa incertezze e difficoltà assai simili a quella di allora. Non per riproporre soluzioni anacronistiche, ma per trovare nelle nostre radici stimoli attuali.
Da anni viviamo una complessa vicenda identitaria e sociale, nell'ancora inesaurito percorso di transizione dall'autonomia dell'istanza a quella della responsabilità: si tratta di un percorso non risolto e quindi ancora irto di incognite, che forse va affrontato con la passione che allora animò i nostri predecessori. Al proposito Pruner scrive: "quei trentini erano spinti dal desiderio di un'autonomia all'interno della quale declinare politicamente il progetto di rinascita della propria terra, in chiave di autogoverno rispetto a Roma". E oggi? I figli ed i nipoti di quei trentini avvertono ancora quel "desiderio" o lo ritengono del tutto appagato, riponendo così le ragioni morali e profonde dell'autonomia?
Davanti all'ormai evidente indebolimento quotidiano della nostra specialità, davanti all'aggressività veneta e lombarda ed al crescente centralismo romano, l'unica risposta possibile sarebbe quella del coraggio che fu allora dell' A.S.A.R., un coraggio nutrito di condivisione e di dialogo, cioè proprio di quello che oggi pare più carente. Langue il confronto e, mentre la maggioranza leghista dimostra evidente insofferenza nei riguardi del dibattito democratico, e alimenta una pericolosissima frattura tra valli e città, l'attuale governo provinciale riduce l'autonomia a provvedimenti slogan, strappi poi cassati giuridicamente nel rapporto con Roma. In assenza di una visione del futuro in grado di giustificare l'autonomia come innovazione, si è rinunciato a quel metodo pattizio che fonda la sua vera forza sulla capacità di proposta, sul dinamismo delle idee e dei percorsi.
L'autonomia comporta, per sua stessa natura, la consapevolezza di una identità che non teme di mettersi in gioco, perché si basa sul riconoscimento delle diversità e quindi della necessità di una continua relazione con i diversi livelli, istituzionali e territoriali. Un'impostazione che comporta capacità di approfondimento, di dialogo, di impegno, di responsabilità.
In altre parole, non è allineando l'autonomia trentina a quella aspirata di Venezia o Milano che si difende la nostra specialità, bensì rilanciando quella che è sempre stata la nostra concezione della "cosa pubblica". Sono valori che parlano di comunità (relazione) contrapposta a individualismo; di solidarietà contrapposta a liberismo; di sussidiarietà contrapposta a centralismo; di umanesimo condividente anziché di egoismi collettivi; di capacità di mettersi in gioco contrapposta a conservazione; di metodo pattizio contrapposto a rivendicazione. Senza questa impostazione, semplicemente non c'è autonomia, bensì mera protezione di un sistema istituzionale che cessa di giustificarsi nella sua specialità e che diventa privilegio per l'esterno.
L'autonomia non è cercare di difendere qualche risorsa in più dalle richieste dello Stato, dal quale molto abbiamo ricevuto nel corso degli anni; autonomia è un'impostazione filosofica prima ancora che istituzionale, è riconoscimento dell'autonomia della persona, che sul piano istituzionale diventa capacità di creazione di sviluppo diffuso e di autorealizzazione personale, obiettivo che non sempre negli anni si è riusciti a raggiungere, anche per una pervasività troppo ampia dell'intervento provinciale. Tutto il resto è ricerca del consenso e sguardo "breve", che non risponde oggi a ciò che rimase irrisolto ieri. Solo un ritorno di idealità larga può aiutare tutti a riscoprire il senso storico ed il significato contemporaneo della nostra autonomia e delle sue potenzialità per i giorni che verranno.
Ci attende un'epoca di cambiamenti senza precedenti: la rivoluzione tecnologica in atto grazie alle incredibili possibilità dell'intelligenza artificiale avrà nei prossimi anni un impatto straordinario sulla vita delle persone. Cesseranno professioni, ne nasceranno di nuove, serviranno un tessuto culturale ed una capacità di adattamento molto elevati.. Le caratteristiche della nostra autonomia sono tali che le scelte che faremo - capacità di governare questi cambiamenti o rimanere fermi a gestire l'ordinario - cambieranno il nostro futuro. Per questo anche la politica - quella che mira a ricostruire una proposta capace di recuperare quello spirito originario di cui parla Pruner, con la capacità di declinarlo in nuove prospettive e proposte coerenti con le nuove sfide che ci attendono - dovrà avere il coraggio di mettersi in gioco, rinunciando alla mera riproposizione di schemi rassicuranti perché consolidati, ma non sempre in grado di interpretare una società in continuo e profondo cambiamento.