Il 20 giugno di otto anni fa si spegneva il Presidente della Provincia Flavio Mengoni, forse uno dei più brillanti ed acuti uomini di governo di questa terra. Per troppo tempo ingiustamente dimenticato o vittima di perduranti silenzi, forse dovuti proprio alla sua libertà di pensiero a volte “scomoda”, egli aveva saputo offrire alla politica la lungimiranza di uno sguardo alto, la potenza di intuizioni ragionate e la profondità di una cultura vera e multiforme.
Luca Zeni, 22 giugno 2021
Pur avendolo conosciuto solo nelle ultime fasi del suo cammino umano e professionale, ne ho sempre ricavato la nitida immagine di uno spirito libero ed animato da robusti ancoraggi etici che, nel solco del miglior pensiero popolare e del cattolicesimo avanzato, lo spingevano ad attribuire un protagonismo fondamentale alla centralità politica della persona ed al governo dell’autonomia speciale e del suo cambiamento continuo.
Figlio di una solida formazione giuridica ed osservatore attento e sensibile dei mutamenti e delle esigenze di sviluppo del Trentino, Mengoni è stato, spesso in solitudine, un precursore ed un esploratore del futuro. Per primo, ed in largo anticipo sulla storia, comprese la strategicità della programmazione, intesa come avanzato metodo di governo, e la funzione propulsiva della struttura provinciale quand’essa, godendo di una propria autonomia tecnica, non dipenda dalla mera discrezionalità della politica e da un rapporto personale di “fedeltà” e basi invece il suo rapporto sulla leale collaborazione con il livello politico.
Fu, la sua, una stagione segnata da trasformazioni importanti, sia sul versante politico come su quello sociale, economico e culturale; consapevole di ciò, egli cercò di anticipare le esigenze che venivano formandosi, attraverso il progetto di nuovi assetti e moderne strumentazioni, a partire dall’ideazione e dall’istituzione dell’Agenzia del Lavoro (L.P. 16 giugno 1983 n. 19), prima esperienza nazionale di governo del mercato del lavoro. A tale proposito, in occasione di una ricorrenza pubblica, Mengoni ebbe a dire che l’intuizione dell’Agenzia fu “una esortazione a pensare in termini di sviluppo storico, anziché di contingenza”, dentro una fase dell’esperienza autonomistica segnata dal tentativo “di liberare, nei gesti quotidiani della politica e della pubblica amministrazione, il coraggio progettuale, forzando schemi e rompendo convenienze, per porre nei suoi termini esatti l’obiettivo della compiutezza democratica.”
Anche solo queste poche parole permettono di comprendere l’abissale distanza fra quell’allora e questo oggi, dove simili concezioni della politica non sfiorano nemmeno lontanamente l’attuale governo provinciale, culturalmente agli antipodi di quell’impostazione, filosofica prima che politica.
A distanza ormai di parecchi anni dalla sua scomparsa, è forse giunto il momento per una rilettura politica e scientifica di quel periodo e di quell’apporto ideale e progettuale, attribuendo così a Flavio Mengoni quel riconoscimento collettivo che avrebbe meritato come uno dei “padri nobili” dell’autonomia speciale e della nostra storia più recente, e che gli mancò in vita.
Non solo per un dovere storico, ma soprattutto perché la sua inquieta tensione alla programmazione e ad un’incessante ricerca di sempre nuove soluzioni rimane un insegnamento attualissimo, in un mondo la cui unica costante è il cambiamento.