Per uscire dalla crisi scatenata dalla pandemia, servono risorse, ma servono anche e soprattutto riforme. È questa la filosofia del «Recovery plan», delineata dalle istituzioni europee e ripetutamente richiamata dal premier italiano Mario Draghi.Giorgio Tonini, "Corriere del Trentino", 15 giugno 2021
Le risorse prese a prestito dalle future generazioni devono essere spese, non per sostenere in modo artificioso il nostro attuale tenore di vita, ma per rendere sostenibili gli interventi strutturali che, in prospettiva, devono consentire al nostro sistema di creare più crescita, più lavoro, più opportunità, più qualità umana.
La buona notizia è che l’Europa e l’Italia si stanno muovendo con determinazione in questo senso. La cattiva notizia è che, almeno finora, di questa determinazione non c’è traccia nella politica della nostra Provincia. Al momento, la nostra autonomia è stata ridotta, dalla politica del giorno per giorno praticata e perfino teorizzata dalla giunta Fugatti, al potere di spendere le risorse sostitutive richieste e ottenute dallo Stato. Come una qualunque autonomia ordinaria.
Un potere che, nell’immediato, può pure generare consenso. Ma rischia di fare smarrire la consapevolezza che governare significa abbinare la gestione del presente con la immaginazione, la progettazione, la programmazione del futuro. Nel proporre esempi di riforme necessarie e urgenti, senza le quali le risorse finiscono solo per essere bruciate, c’è solo l’imbarazzo della scelta.
Possiamo prendere ad esempio la sanità, con la mediocre performance del Trentino nel far fronte alla pandemia. I dati impressionanti sul numero dei morti sono lì a ricordarcelo. Forse perché il nostro sistema sanitario provinciale è troppo «ospedalecentrico», un po’ come quello lombardo. E in questi anni, abbiamo discusso e polemizzato tanto sulla rete ospedaliera, che nell’insieme funziona in modo eccellente, ma abbiamo trascurato l’altra, importante gamba del sistema: la medicina territoriale. È evidente che l’impiego delle risorse, sperabilmente anche aggiuntive, a disposizione della sanità, si rivelerà produttivo solo se servirà a riequilibrare, con le necessarie riforme, il rapporto tra medicina ospedaliera e medicina territoriale. Peccato che questa riflessione di prospettiva sia totalmente ignorata da una giunta provinciale che sembra più impegnata a fare l’opposizione alle giunte precedenti, che a progettare insieme alla comunità la sanità trentina del futuro.
Altro esempio, economia e lavoro. Bene distribuire risorse a chi ha avuto guai seri dalla pandemia. Male se ci si limita a questo, se non si affronta il tema decisivo dell’incontro fra domanda e offerta. Il Trentino sta perdendo posizioni nella catena del valore. I nostri giovani migliori, più preparati e intraprendenti, se ne vanno via. Anche perché la maggior parte dei posti che il nostro sistema sembra offrire è caratterizzato da bassa qualificazione e bassa retribuzione. E il caso Sicor ci dice che questa tendenza potrebbe diffondersi anche nell’industria. Una struttura dell’offerta di lavoro che si incontra solo o prevalentemente con la domanda di lavoratori immigrati, che la politica provinciale fa di tutto per attirare, salvo poi abbandonare, come dimostra la vergognosa norma sui dieci anni di residenza per l’aiuto ai figli.
Dunque, rischia di mettersi in moto una pericolosa spirale regressiva. Alla quale andrebbe opposta una iniziativa, pensata, concertata e programmata con le parti sociali, una sorta di patto per la qualità dello sviluppo, che punti a far crescere, attirando adeguati investimenti, posti di lavoro altamente qualificati e ben retribuiti e contemporaneamente dia stabilità e dignità ai lavoratori dei settori più marginali, politiche di accoglienza e integrazione degli immigrati comprese.
Ma la questione decisiva è il funzionamento della macchina pubblica, in Trentino particolarmente pervasiva e quasi per intero gestita dalla Provincia, direttamente o attraverso i Comuni. Anche qui purtroppo dobbiamo fare i conti con la totale assenza di ambizione riformistica. Dal Rendiconto 2020 risulta che l’anno scorso solo il 29% della massa spendibile per investimenti è stato effettivamente speso. Le cose vanno così da anni. Eppure, a una interrogazione con la quale chiedevo cosa intendesse fare la giunta, il presidente ha risposto che «l’obiettivo è quello di migliorare i predetti valori concentrando le risorse disponibili su interventi di rapida realizzabilità, proprio al fine di consentire una più veloce immissione delle risorse nel sistema».
In sostanza: dato che non riusciamo ad adeguare le prestazioni della macchina alla scala degli investimenti di cui avremmo bisogno, non ci resta che ridurre questa scala, per adeguarla alle mediocri prestazioni della macchina. Il contrario dello spirito riformista del Recovery. Che avrebbe dovuto suggerire una risposta del tutto diversa: stiamo predisponendo un piano di digitalizzazione col quale contiamo di capovolgere quel rapporto nell’arco dei prossimi cinque anni.
Più in generale, d’intesa col governo, stiamo ridefinendo i criteri di funzionamento della pubblica amministrazione in Trentino, per privilegiare la valutazione sui risultati anziché quella sulle procedure. Lo dobbiamo ai cittadini e alle imprese. Lo dobbiamo ai sindaci, che hanno il diritto, come ha messo in luce l’incredibile vicenda che ha colpito un amministratore di grande spessore morale e politico come Francesco Valduga, di governare le loro comunità nel rispetto di regole chiare e certe. E non nell’incubo del conflitto permanente di competenze e di interpretazioni.
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