Sorridendo, mi raccontava anni fa un collega senatore, Gavino Angius, che quando fu inviato, da giovane militante del Pci, a tenere il suo primo comizio, il suo segretario di federazione gli disse: se a un certo punto ti blocchi e non sai cosa dire, attacca la Dc che funziona sempre.
Giorgio Tonini, 30 maggio 2021
Il collega Giorgio Leonardi di Forza Italia, sull’Adige di sabato scorso, ha applicato alla lettera la dottrina Angius, naturalmente attualizzata. Se non sai cosa dire, attacca il Pd che funziona sempre. Secondo Leonardi, il Pd si sarebbe reso colpevole in Regione di un comportamento gravemente lesivo dello stesso Statuto di autonomia, per aver bloccato il rinnovo dell’ufficio di presidenza del Consiglio regionale, con l’aggravante dei futili motivi, le dichiarazioni offensive e sessiste del consigliere Savoi. Il consigliere Leonardi è così riuscito a dire tre cose sbagliate in un colpo solo. Un record.
Prima cosa sbagliata: Leonardi confonde il Pd con le minoranze. In Consiglio regionale il Pd ha 6 consiglieri su 70 e da solo non può bloccare alcunché. Sono le minoranze politiche tutte, di Trento come di Bolzano e di tutti gli orientamenti politici, ad aver imposto il rinvio della elezione di metà mandato dell’ufficio di presidenza. Se più di un terzo del Consiglio regionale pone un problema, forse la maggioranza farebbe bene a rispettare, ad ascoltare, a interloquire. I parlamenti si chiamano così perché dovrebbero essere un luogo dove ci si parla e ci si ascolta e solo dopo si vota e si decide. Tanto più quando si tratti di definire non i programmi di governo o gli equilibri di giunta, ma gli assetti del Consiglio, che è la casa di tutti, maggioranza e minoranze. Ma capisco che queste regole elementari della democrazia risultino ostiche a chi ha una concezione padronale della politica e delle istituzioni e milita in un partito nel quale ha sempre deciso tutto una persona sola.
Seconda cosa sbagliata: il Pd e le altre minoranze non hanno bloccato lo Statuto, come dice Leonardi, ma hanno cercato di farlo rispettare. È infatti il regolamento del Consiglio, in attuazione di quanto stabilito dallo Statuto, che prescrive che “Per la validità dell’elezione del Presidente e dei vice Presidenti del Consiglio è richiesto l’intervento di almeno due terzi dei componenti il Consiglio”. Lo capiscono anche i bambini, ma evidentemente non i consiglieri di Forza Italia, che se per una votazione è previsto un quorum rafforzato, è perché si vuole che in essa si determini non l’imposizione del punto di vista della maggioranza, ma una convergenza, una mediazione, un compromesso tra maggioranza e minoranze. Dunque è la maggioranza, nel cercare di eleggere l’ufficio di presidenza da sola, che ha violato la lettera e lo spirito del regolamento e dello Statuto, non le minoranze, che sono intervenute per farli rispettare. Sembra la favola del lupo e dell’agnello. Il lupo, che sta bevendo a monte, accusa l’agnello, a valle, di sporcargli l’acqua del ruscello. Su sei membri dell’ufficio di presidenza uscente, la maggioranza ne esprime cinque e mezzo: 2 della Lega, 2 della Svp, Guglielmi e, per le minoranze tutte, Urzì, presidente di un gruppo (Fratelli d’Italia) all’opposizione in Regione ma in maggioranza in Provincia di Trento. Non solo il Pd, ma tutte le sensibilità politiche non direttamente riconducibili alla Svp o al centrodestra “italiano”, sono state escluse dall’organo di gestione e di garanzia del Consiglio. Naturalmente il lupo non ha chiesto all’agnello il permesso di sbranarlo. Ma è talmente assuefatto alla sua stessa ingordigia e arroganza, che ha considerato un attentato alle regole che il terzo abbondante di consiglieri esclusi dal governo del Consiglio abbiano fatto ricorso alle regole stesse, ignorate e calpestate dalla maggioranza, per essere ascoltati e consultati in un passaggio istituzionale così importante e delicato. Oltretutto, i 25 consiglieri di minoranza non hanno chiesto di essere ascoltati per ridiscutere i rapporti di forza tra maggioranza e minoranze in seno all’ufficio di presidenza, come pure sarebbe loro diritto fare. Hanno posto alla maggioranza una questione di principio: se sia opportuno confermare la presenza, in seno a quell’importante organismo, di un consigliere che si è lasciato andare a commenti gravemente offensivi e sessisti nei confronti di sue colleghe, in tal modo ferendo in modo inqualificabile la dignità dell’intero Consiglio.
Quanto sia sbagliata la terza cosa detta da Leonardi, ognuno può giudicarlo da sé. Il rinvio dell’elezione dell’ufficio di presidenza, dice il collega di Forza Italia, non bilancia un post su Facebook liquidato come “infelice”, cioè sfortunato. Ritenta Savoi, verrebbe da dire, sarai più fortunato col prossimo post. Ma si può opporre, come fa Leonardi, il valore dello Statuto alla censura e ad una sanzione, almeno morale e politica, nei confronti di chi si è reso responsabile di una grave violazione dello stesso? Lo Statuto è parte della Costituzione, alla quale noi consiglieri abbiamo giurato fedeltà, il primo giorno del nostro mandato. Abbiamo dunque giurato fedeltà anche all’articolo 54 della nostra Carta: “I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle, con disciplina ed onore”. Se vengono meno a questo dovere, qualcosa deve succedere. Se non si vuole che il regolamento, lo Statuto e perfino la Costituzione restino lettera morta. Noi non vogliamo che questo succeda e faremo tutto il possibile perché non succeda. Se ne facciano una ragione, lorsignori della maggioranza.