La vera differenza tra le autonomie ordinarie e quelle speciali è che le prime amministrano, mentre le seconde governano. Se un'autonomia speciale rinuncia a governare e si limita ad amministrare, di fatto si riduce da sola al rango di autonomia ordinaria. È quello che sta succedendo alla nostra autonomia speciale.
Giorgio Tonini, 16 aprile 2021
È quello che sta succedendo alla nostra autonomia speciale, alla nostra Provincia autonoma, dopo due anni e mezzo di cura leghista. Il tratto fondamentale di questa prima metà della legislatura è stato infatti proprio il progressivo ritirarsi della Provincia dal governo e invece il suo espandersi a macchia d'olio sul terreno amministrativo e gestionale.
Governare è espressione di origine latina, sinonimo di guidare la nave, agendo sul timone per seguire una rotta voluta e tracciata a tavolino. Tenendo conto, certamente, di venti e correnti, e adattandosi alla loro spinta, ma mantenendo ferma la direzione nella quale muovere, senza lasciarsi andare alla deriva.
Amministrare invece significa servire, l'amministratore è il braccio destro del padrone, colui che cura la realizzazione del volere del padrone. In democrazia il padrone (il sovrano) è il popolo e dunque amministrare significa servire il popolo. Nulla di più nobile. Ma il popolo si esprime attraverso le istituzioni che lo rappresentano. E se queste restano mute sugli obiettivi da raggiungere, l'amministrazione finisce per servire se stessa, o un padrone diverso dal popolo.
In questi due anni e mezzo, il presidente Fugatti, la sua giunta e la sua maggioranza si sono sistematicamente e quasi orgogliosamente rifiutati di governare, cioè di tracciare una rotta chiara e di programmarne il perseguimento attraverso il confronto con il parlamento dell'autonomia, il nostro consiglio provinciale, e le istituzioni economiche, sociali e culturali della nostra comunità.
Hanno irriso la programmazione, anche quella prevista dalle leggi: penso al documento di economia e finanza provinciale (Defp) che dovrebbe indicare gli obiettivi macroeconomici perseguiti dalla giunta e che invece non li ha mai definiti, nonostante gli impegni in senso contrario assunti in consiglio provinciale.
Hanno respinto qualunque proposta di confronto ravvicinato con le minoranze consiliari e le parti sociali, sia sul versante del ripensamento strategico del nostro sistema sanitario, dopo la lezione della pandemia, sia su quello del futuro del nostro sistema produttivo e dell'organizzazione del lavoro, del territorio, dei servizi alle imprese e alle persone, in un mondo reso diverso dalla crisi che stiamo vivendo. È nel pieno delle crisi che nasce infatti il futuro ed è in tempi come questi che esso va pensato, progettato, programmato. L'orizzonte della giunta si è invece ristretto al procacciamento delle risorse dai livelli istituzionali superiori e alla loro distribuzione senza alcuna vera gerarchia di priorità che non fosse il tamponamento delle emergenze, inevitabilmente appiattito sul breve termine.
Non ci si è posti nemmeno alla lontana il problema, decisivo per il futuro nostro e dei nostri figli, di come rendere l'assetto produttivo e organizzativo del sistema trentino più capace di mobilitare risorse locali e attrarre investimenti in modo da generare più risorse anche per il funzionamento di servizi e istituzioni. Insomma, si è agito e perfino pensato come agiscono e pensano le autonomie ordinarie, quelle che devono per l'appunto limitarsi a gestire al meglio risorse derivate dai trasferimenti statali. La specialità si è ridotta ad avere più risorse e più competenze degli altri, ma risorse e competenze da amministrare, non da utilizzare per governare, individuando obiettivi e finalità da perseguire in modo intenzionale e programmato.
In cambio, la Provincia si è lanciata a briglia sciolta nell'occupare tutto l'occupabile sul terreno amministrativo e perfino gestionale. Alla mortificazione del carattere quasi statuale della nostra autonomia speciale, si è così venuta sommando la compressione delle autonomie naturali e funzionali che la Provincia dovrebbe riconoscere e valorizzare: comunità locali, libera iniziativa d'impresa, istituzioni culturali a cominciare dall'università.
Solo tre esempi, tra i molti possibili. I comuni trentini, da sempre in deficit di autonomia rispetto alla Provincia (qualcuno forse ricorda il severo intervento di Umberto Pototschnig nel 40º anniversario dello statuto), non sono mai stati così mortificati, privati in un colpo solo di tutti e tre gli strumenti utilizzati negli anni scorsi per riequilibrare il divario: spente le fusioni, soffocate le gestioni associate, congelate le comunità di valle. Legittimo ovviamente qualunque intervento per privilegiare questo o quello strumento. Meno legittimo devastare un sistema che si stava ristrutturando, parliamo della seconda gamba della nostra autonomia, sostituendolo solo con il tradizionale cappello in mano dei sindaci nelle anticamere di piazza Dante a Trento. La Provincia autonoma, invece di agire e pensare da quasi-stato, si è messa a fare il super-comune, umiliando ad un tempo se stessa e i comuni.S
econdo esempio, il credito. Incapace di governare un sistema che si è riformato profondamente negli anni della crisi, dai quali è uscito scommettendo sul radicamento in Trentino, grazie alla storica rilevanza del credito cooperativo, del settimo gruppo bancario nazionale, un'opportunità strategica per il nostro territorio, oltre che una fonte imprenscindibile di entrate fiscali, la Provincia si è messa a fare la banca, avocando a sé la gestione di Mediocredito, in diretta concorrenza con Cassa centrale banca, che viene clamorosamente esclusa. Una strategia opposta a quella di Bolzano, che ha deciso di governare il credito lasciandone la gestione a chi la banca la sa fare, dunque valorizzando l'autonomia e il ruolo del sistema delle Raiffeisen. Per avere un prestito dalla principale banca corporate della nostra regione si dovrà quindi andare, col solito cappello in mano, in piazza Dante. Nel frattempo il governo del credito regionale si sposta sempre di più a Bolzano. Le Raiffeisen si rafforzano e Ccb riceve un colpo dal "fuoco amico" della Provincia.
Terzo esempio, l'Università. C'è voluta tutta la paziente fermezza del rettore Collini per impedire alla Provincia la gestione diretta della scuola di medicina, da realizzare a Trento scavalcando il nostro ateneo e stabilendo un rapporto diretto tra la Provincia e l'università di Padova. Ancora fuoco amico, stavolta contro la nostra università, che ha dovuto guardarsi le spalle da quella stessa Provincia che con Kessler l'aveva messa al mondo. Tutto è bene quel che finisce bene, la scuola di medicina è nata dentro e non contro l'università di Trento. È forse per vendicarsi di questo smacco, che la Provincia ora sta cercando di impadronirsi della gestione dell'Opera universitaria...
Non so se proseguendo su questa strada il presidente e il suo partito rafforzeranno il loro potere. Dubito che rafforzeranno l'autonomia del Trentino e nel Trentino.