Il Pd ritrovi la sua identità

Sono sempre stato orgoglioso di essere tra i fondatori del Partito Democratico.Con tante persone abbiamo vissuto con entusiasmo una stagione di grande speranza.
Luca Zeni, 6 marzo 2021

 

Il sogno di avere anche in Italia un grande Partito Democratico, capace di unire sotto una stessa bandiera famiglie politiche diverse ma affini: il popolarismo con la centralità che esso conferisce ai valori della persona, della famiglia e delle comunità originarie; la concezione liberal-democratica, che scommette sull'autonomia e sul protagonismo del soggetto; la sensibilità sociale e democratica, che si fa carico dell'effettività e dell'universalità dei diritti di cittadinanza, e quella ambientalista, espressiva di un'attenzione sempre più matura alla sostenibilità e alla qualità dello sviluppo.Insomma, unire la richiesta di giustizia sociale propria delle forze riformiste della sinistra con la capacità di dialogo del centro, quindi con una propensione alla ricerca di sempre nuove soluzioni in un mondo che cambia continuamente. E in Trentino una concezione dell'autonomia che affonda le sue radici nel popolarismo di Degasperi, aperta e dinamica, fatta di confini osmotici e non divisivi.

Ma cosa è successo in questi anni? Siamo riusciti a mantenere quelle aspettative così ambiziose? La crisi di oggi - di consenso e di identità - non è solo una questione di "personalismi interni"; purtroppo è molto più profonda, riguarda quel sogno originario di non essere un partito "di categoria" o "di classe", ma di offrire schemi di lettura complessivi della società, per proporre un'idea unitaria di sviluppo culturale, sociale ed economico. Negli ultimi anni però - dopo che Renzi è rimasto vittima di un dinamismo che è diventato nichilismo - qualcosa si è rotto. Nella percezione di molte persone il Pd non è più quel partito aperto delle origini, ma è tornato ad essere l'evoluzione del PCI, un partito che rappresenta la sinistra tradizionale, e che si rifugia in rassicuranti messaggi identitari sui diritti civili e un antagonismo al sovranismo razzista della destra salviniana.Però occorre essere chiari: un partito così percepito non è il PD, è qualcos'altro.

Ecco perché le dimissioni dalla segreteria, e la modalità delle stesse, da parte di Zingaretti mi hanno molto amareggiato. Perché dal segretario del mio partito mi aspetto che si interroghi profondamente sui motivi del disagio di tutti coloro che non si sentono "post comunisti", e sulla costante emorragia di consensi. E mi aspetto che apra porte e finestre, mettendo in discussione schemi acquisiti, perché ripetere slogan rassicuranti ma ormai incapaci di intercettare la realtà è pigrizia mentale. Si riparta mettendo al centro la dicotomia del mondo del lavoro, ed avendo il coraggio di dire che la priorità dev'essere un sistema più giusto per precari e partite iva, quotidianamente in trincea e senza tutele; si lavori per una parità di genere vera, culturalmente e nelle professioni, che si fondi sul riconoscimento della diversità come valore, e si abbia il coraggio di abbandonare l'esasperazione che porta alle caricature delle desinenze di genere; si lotti per il riconoscimento culturale e giuridico della dignità di ogni essere umano, senza scadere in un buonismo sbagliato e che priva di dignità le persone che si vorrebbero tutelare. Torniamo ad essere in sintonia con la realtà. Allora avremo una forza propulsiva capace di essere credibile per i cittadini, ed il Pd non dovrà andare ad elemosinare improbabili ed obbligate alleanze con Movimento 5 Stelle e Leu, ed eventuali accordi saranno concordati con la forza di chi ha un'idea chiara della comunità che vuole.

In gioco c'è l'identità e quindi l'esistenza stessa del Partito Democratico, e va affrontata a viso aperto. Alcuni analisti vedono nelle dimissioni di Zingaretti una mera tattica, con il reale intento di farsi riconfermare dall'assemblea del partito ed evitare un congresso. Se così fosse, significherebbe aver già scelto di ridurre il PD al partito dei nostalgici della sinistra tradizionale, forzando per far uscire i non ortodossi. Insomma, meglio governare un piccolo partito identitario che mettersi in discussione e rilanciare il Partito Democratico: sarebbe la fine di una sfida enorme e bellissima.

Prego - di più, imploro - tutti coloro che non vogliono che quel sogno riformista fallisca in questo modo, di chiedere con forza un confronto aperto, senza paracadute, mettendo in gioco fino in fondo la nostra stessa identità, per ritrovare lo spirito originario del partito democratico e una nuova connessione con i cittadini. Se le intenzioni di Zingaretti sono autentiche, accompagni una fase congressuale vera, dove si confrontino in maniera anche aspra visioni diverse sul ruolo del centrosinistra in Italia. E si decida del futuro di un'area culturale e politica determinante per il destino del Paese, con un nuovo atto fondativo. Insieme.