Tra pochi giorni, con l’insediamento alla Casa Bianca di Joe Biden, sessant’anni dopo John F. Kennedy, gli Stati Uniti saranno guidati per la seconda volta da un presidente cattolico. Pochi giorni fa, alla presidenza della Camera, è stata confermata la democratica, di origine italiana, Nancy Pelosi, anche lei di confessione cattolica. Cattolici saranno dunque i titolari della prima e della terza carica istituzionale degli Usa.Giorgio Tonini, 10 gennaio 2021
La seconda, quella di vicepresidente degli Stati Uniti e presidente del Senato, sarà ricoperta da Kamala Harris, nera di origini indo-americane e giamaicane, di confessione battista. Nessuno dei tre politici più potenti d’America rientrerà quindi nei parametri “wasp” (white, anglo-saxon, protestant) che, insieme al primato maschile, da sempre hanno dominato l’accesso di fatto, anche se non di diritto, alla classe dirigente degli Stati Uniti. Stavolta al vertice della democrazia più importante del mondo ci saranno due donne e un uomo, bianco anglo-sassone, ma cattolico e non protestante; una donna nera, protestante, ma non anglo-sassone; una donna bianca, ma italo-americana e cattolica.
In questo trionfo del “diversamente americano”, spicca la forza qualitativa e quantitativa dei cattolici. Non solo alla Casa Bianca, anche al Campidoglio, sede appena fatta oggetto, in modo tanto ignobile quanto inutile, di un vero e proprio attacco terroristico ad opera di trumpiani irriducibili. Di fede cattolica saranno infatti anche la maggioranza relativa dei parlamentari: 24 senatori (su 100) e ben 134 deputati (su 435). Questo calcolo funziona, si badi bene, se si divide l’universo protestante, come è giusto fare, nelle sue diverse confessioni (battisti, metodisti, presbiteriani, episcopaliani, luterani, ecc.). E se si considera invece l’universo cattolico come un’unica entità: assolutamente corretto sul piano ecclesiale formale (la Chiesa cattolica è una), ma non del tutto sufficiente a cogliere le profonde differenze, tra cattolici, sul piano della collocazione politica e sempre più anche culturale.
Su 24 senatori cattolici, 14 sono stati eletti coi democratici e 10 coi repubblicani. Su 134 deputati, 77 sono democratici e 57 repubblicani. Questi dati ci dicono due cose: che il mondo cattolico americano è politicamente diviso, si può anche dire polarizzato; e che la componente cattolico-democratica è risultata prevalente rispetto a quella cattolico-conservatrice. La prima non è una notizia, la seconda sì.
Non è una notizia che il mondo cattolico americano sia, da tempo, diviso e polarizzato: dalle parrocchie, agli ordini religiosi, fino all’episcopato, cardinali compresi, la frattura destra-sinistra è profonda e dolorosa. Portato negli Usa prima dagli irlandesi, poi dagli italiani e dai polacchi e infine dai latinos, il cattolicesimo americano è sempre stato in prevalenza democratico, anche perché particolarmente sensibile alla questione sociale. E fintantoché la questione sociale è stata centrale e cruciale nel confronto destra-sinistra, i cattolici americani erano perlopiù, quasi naturalmente, schierati a sinistra. Le cose sono cominciate a cambiare alla fine del secolo scorso, quando il discrimine fra destra e sinistra si è almeno in parte spostato dalla questione sociale a quella dei diritti: prima dei neri, poi delle donne (con la centralità simbolica della questione aborto), fino a quelli della comunità Lgbt. Da Nixon a Reagan, fino a Bush e a Trump, in un crescendo di radicalizzazione, i repubblicani hanno scommesso sulla centralità dello scontro culturale sui diritti, ponendosi come guida politica della cosiddetta “moral majority”, la maggioranza morale degli americani, saldamente ancorata ai valori tradizionali della religione e della famiglia. Questa brillante operazione culturale e politica ha relegato sullo sfondo le questioni della convivenza pacifica sul piano internazionale e dell’uguaglianza di opportunità sul piano sociale, consentendo ai repubblicani di sfondare nell’elettorato cattolico e nella stessa comunità ecclesiale, conquistando il consenso anche di autorevoli esponenti della gerarchia ecclesiastica.
La risposta democratica è tuttavia risultata sapiente e in definitiva vincente. I democratici non si sono lasciati schiacciare su posizioni estremiste, speculari a quelle della destra. Al contrario, essi hanno saputo sempre o quasi sempre scegliere come leader personalità moderate, capaci di parlare ad un mondo più vasto, potenzialmente maggioritario: Clinton, Obama, Biden. La storia ha fatto il resto: prima la crisi economica, poi la pandemia hanno riportato al centro il tema della solidarietà sociale e della cooperazione internazionale, vanificando lo sforzo, da ultimo di Trump, di fare della questione dell’aborto la discriminante centrale del confronto politico.
Alla fine, la posizione vincente, perché più persuasiva, è risultata quella di papa Francesco, che nella “Fratelli tutti” ha ricondotto il tema della tutela della vita umana nel più ampio contesto della promozione della solidarietà e del contrasto alla “cultura dello scarto”. La posizione più radicalmente “francescana” è risultata quella più convincente e in definitiva vincente. E questa è una vera (buona) notizia.
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