Sicor non diventi il buco nella diga

La vicenda dello stabilimento Sicor di Rovereto sta mettendo non solo il Trentino, ma l’Italia intera, di fronte a un fatto del tutto inedito, che sta cogliendo tutti impreparati.
Sara Ferrari, 24 dicembre 2020

L’intero sistema di regole che disciplina i rapporti di lavoro nel nostro Paese, frutto di accordi, contratti e consuetudini – un castello di norme, spesso non scritte, ma non per questo meno pregnanti, costruite attraverso la sedimentazione dei risultati di lotte gloriose come di dolorosi compromessi – tutto questo rischia di essere spazzato via, d’un tratto, dal precedente che si sta concretizzando nell’azienda lagarina.

L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. Sono queste le prime parole che i Padri Costituenti, dopo il ventennio fascista, hanno voluto scrivere nella nostra Costituzione, figlia della Resistenza. Scardinare le regole del lavoro significa compiere un atto quasi eversivo, che mette a repentaglio la stessa democrazia nel nostro Paese. Un “contratto”, lo dice la parola, è un accordo stipulato tra due contraenti. Se un contratto viene imposto, anziché per l’appunto contrattato, se, come sta accadendo alla Sicor di Rovereto, un’azienda “comunica” ai propri dipendenti che applicherà un contratto scelto dall’azienda stessa, allora non siamo più di fronte ad un contratto, siamo di fronte ad una imposizione.

E se un cittadino, che per l’articolo 3 della Costituzione è “eguale davanti alla legge”, si trova costretto a dover subire un’imposizione sulle sue condizioni di lavoro, da cui dipende la possibilità di sostentamento sua e della sua famiglia, nonché la sua dignità come persona, allora non siamo più di fronte ad un rapporto di lavoro, ma ad un contesto di ricatto.

Allo stesso modo, se il salario dei lavoratori, frutto della contrattazione, viene unilateralmente falcidiato, con lo scopo dichiarato di far guadagnare di più la proprietà di un’azienda attualmente redditizia, ci si potrà pure appigliare alla voragine di vuoto normativo italiano per tentare di sostenere che l’operazione è legittima, ma siamo di fronte ad un fatto grave, che amplia le disuguaglianze sociali tra lavoratori e datori di lavoro, in un periodo in cui si dovrebbe agire a forze congiunte.

I lavoratori trentini, di ogni settore, hanno immediatamente compreso, sin dall’inizio, quanto fosse grave ciò che stava accadendo ai colleghi della Sicor, quanto quella vicenda rischi di creare un precedente che potrebbe avere un effetto tsunami sull’intero mondo del lavoro, su tutte le famiglie, sull’esercizio dei più basilari diritti, sulla stessa democrazia.

Si sono mobilitati in tanti, ricevendo il sostegno dell’intera comunità trentina, dalle associazioni alle istituzioni, compreso il Consiglio provinciale unanime. Solo questa Giunta provinciale a trazione leghista, facendo torto persino alla sua stessa base elettorale, sembra non aver compreso ancora la gravità della situazione, impegnandosi troppo timidamente nel tentativo di ricomporre la frattura, come abbiamo potuto constatare nella seduta straordinaria del Consiglio provinciale, convocata proprio sul futuro dell'industria trentina.

Oggi serve rimediare, è indispensabile che il Presidente della Provincia e l’assessore al lavoro intervengano con decisione, a tutela di un intero territorio. E’ necessario che le istituzioni democratiche tutte, ciascuna per quanto di propria competenza, facciano fino in fondo la propria parte. Forse anche intervenendo legislativamente in Parlamento, per colmare il vuoto normativo che ha sinora consentito alla Sicor di proseguire imperterrita nel proprio intento e che rischia di costituire un precedente, ancor più pericoloso alla vigilia della “primavera calda” che attende il mercato del lavoro, in ogni settore.

Le famiglie che vivono del proprio lavoro, non solo i dipendenti della Sicor, hanno il diritto di avere le istituzioni democratiche al proprio fianco, di non sentirsi abbandonate a se stesse, perché ci attendono mesi difficili. Quando entreremo nella crisi post pandemia e quando terminerà il divieto di licenziamento, molte realtà produttive dovranno fare scelte strategiche per il proprio futuro e dovranno essere aiutate dalle istituzioni a rilanciarsi, attraverso politiche pubbliche che sostengano rinnovamento e riorganizzazione, ma anche formazione per la riqualificazione del personale, per investire sulla propria forza lavoro, anziché comprimerla o rinunciarvi.