A22, la norma liquida-privati e l’ombrello dell’Europa

Il recente dibattito sulla concessione di A22 ha un pregio e un difetto. Il pregio è quello di ricordare a noi tutti la valenza strategica di un’infrastruttura che ha segnato in passato e segnerà in futuro lo sviluppo qualitativo dei nostri territori. Il difetto è quello di schiacciare la discussione in una disputa in cui sembrano prevalere ingarbugliate questioni tecnico-giuridiche quando invece le priorità e la posta in gioco sono altre.
Alessandro Olivi, "Corriere del Trentino", 6 dicembre 2020

 

L’intervento di Simone Casalini e la sua lucida proposta ci hanno ricordato qual è la priorità per l’interesse collettivo: coniugare l’assetto della nuova governance con la capacità da subito di attuare un ambizioso programma di investimenti in questo momento bloccato.

Non dimentichiamo il paradosso che stiamo vivendo: nel mezzo della peggiore crisi economica mondiale del dopoguerra, abbiamo una società a controllo pubblico dotata di un importante patrimonio, di una struttura tecnica competente e di progetti già pronti — tre condizioni che insieme rappresentano un piccolo «miracolo» — ma che non può far partire i lavori. Se tra cinque anni avremo raggiunto un perfetto assetto societario, ma lasciato inespresso il potenziale economico rappresentato oggi da Autostrada del Brennero, avremo fallito il nostro compito. Di questo dobbiamo essere tutti consapevoli, al di là della nostra collocazione geografica e politica. Certo, l’urgenza del fare oggi non deve indurci a dimenticare il dovere di programmare il domani delle nostre Comunità. Lo schema di in house che concordammo nel 2016 con l’allora ministro Graziano Delrio resta l’obiettivo strategico perché la società pubblica è il mezzo (e non il fine) per consentire alle comunità che vollero e costruirono la A22 di continuare a guidarla in un’ottica di efficienza, sicurezza e sostenibilità ambientale.

Attraverso una società pubblica saremo in grado di attuare inoltre il graduale ma necessario passaggio del traffico merci, oggi eccessivamente sbilanciato sulla gomma, alla ferrovia. L’obiettivo principale è realizzare un green corridor di rilevanza europea dove lo sviluppo economico e la tutela ambientale stiano inscindibilmente insieme.

Una volta ricordatoci di cosa stiamo parlando, di qual è la priorità di oggi e l’obiettivo di domani, possiamo e dobbiamo decidere come arrivarci il prima possibile e mettendo in sicurezza l’operatività della società. Inutile eludere il problema: bisogna decidere come liquidare i soci privati. Il riscatto «forzoso» è la soluzione? Lo è nella misura in cui non rischia di consegnarci una Autobrennero paralizzata dai ricorsi e dobbiamo dirci chiaramente che questa ipotesi appare oggi probabile. Ma non solo. È responsabilità dei decisori politici e degli attuali amministratori della società fare tutto il possibile per evitare il rischio di dover versare ai privati più soldi domani di quanto non si possa fare oggi. Sempre di soldi della collettività si tratta. Sul punto mi permetto di richiamare la direttiva europea del 14 giugno 2017 laddove stabilisce che qualora la legislazione di uno Stato membro autorizzi le società a emettere azioni riscattabili, il riscatto medesimo deve essere autorizzato dallo statuto prima della sottoscrizione delle azioni. In altre parole siamo certi che, stante la disciplina europea, la norma varata con il decreto Ristori sia sufficiente per addivenire alla totalizzazione pubblica di Autobrennero, oggi condizione necessaria per l’affidamento in house della concessione? La questione è complessa e va affrontata con molta attenzione senza stravolgere, ovviamente, la scelta finale di una società avente governance pubblica. Aggiungerei anche una reale autonomia decisionale.

La sede per affrontare questo decisivo passaggio non è il Cda di Autobrennero ma il Parlamento che deve approvare uno strumento giuridico idoneo a garantire un esito trasparente che coinvolga tutte le parti interessate. Personalmente ritengo che vi sia lo spazio per un ulteriore rafforzamento della norma contenuta nel decreto legge Ristori quater volta ad attuare il controllo pubblico della società prevedendo un percorso pattizio che coinvolga l’Europa e che dia garanzie rispetto allo sblocco degli investimenti.

L’Europa conta eccome in questa vicenda, perché può farsi garante di un negoziato senza ombre e rischi di strascichi giudiziari. Prima del Covid uno strumento come il Recovery Fund sarebbe stato fantascienza e la stessa disciplina sul Golden Power che si sta perfezionando in queste settimane dimostra la volontà politica di tutelare le infrastrutture strategiche degli Stati membri. E A22 certamente lo è.

In definitiva nessun favore ai privati ma, al contrario, un percorso per non consegnare loro la possibilità di paralizzare la società. Il nodo è e resta politico e vengo così all’aspetto meno edificante. Se grattiamo sotto la superficie delle dichiarazioni, non è difficile scorgere gli intrecci degli interessi localistici e politici di questa vicenda. Si tratta di interessi legittimi, che però hanno minato l’unità dei soci di maggioranza di Autobrennero: gli Enti locali. Occorre recuperare velocemente lo spirito che nel 1959 permise a territori culturalmente distanti tra loro anni luce di mettere da parte gli egoismi e unirsi per un grande progetto comune. In primis, questa unità va ritrovata tra Trento e Bolzano. Ma non c’è unità laddove una parte rincorre l’altra e dove la tattica prevale sulla strategia.

Al presidente Fugatti dico che, con la schiena dritta, il Trentino deve assumere un’iniziativa politica e istituzionale che restituisca centralità all’Autonomia e che ci veda cruciali nella costruzione di un’intesa con gli altri attori pubblici della partita.

Il corridoio del Brennero è il nostro futuro e la solidarietà regionale serve proprio a difendere questo grande capitale economico ed ambientale. Serve in definitiva capacità di indirizzo politico e leadership in Provincia, in Regione e a Roma.