Premesso che
in data 19 maggio 2020 il Consiglio della Provincia Autonoma di Trento approvava due risoluzioni indicanti una serie di misure da adottare in ambito di politiche sanitarie, in modo da organizzare il sistema sanitario per essere pronti ad una possibile seconda fase dell’epidemia;
Trento, 19 novembre 2020
la seconda fase della pandemia, dovuta anche al rilassamento dei comportamenti individuali nel corso dell’estate, ha evidenziato lacune programmatorie ed organizzative in tutto il Paese, ed in maniera analoga in provincia di Trento, dove non si sono sfruttate le opportunità dell’Autonomia speciale, ossia la possibilità di mettere in campo strumenti normativi, amministrativi e organizzativi forti a supporto di una strategia politico/sanitaria chiara;
vi sono alcuni interventi che possono essere strumento molto valido per contenere la diffusione del virus, accanto all’utilizzo delle mascherine, il distanziamento e l’igiene, come ad esempio: alto numero di tamponi effettuati; sistema di tracciamento tempestivo e capillare, anche attraverso l’utilizzo di strumenti tecnologici; sistema di assistenza domiciliare efficiente, in modo da prevenire sintomi gravi ed evitare un’alta ospedalizzazione; isolamento dei positivi dal resto dei familiari;
con l’aumento dei contagi nella fase due dell’epidemia, nel corso del mese di ottobre, dopo alcune settimane di difficoltà dovute al basso numero di personale presso la centrale covid, si è provveduto ad aumentare la dotazione e si sta implementando l’informatizzazione del sistema, ad esempio attraverso l’invio automatico del certificato di isolamento per 21 giorni in caso di positività al tampone, e con l’indicazione di quarantena per i familiari, per evitare che troppe persone rimanessero “scoperte” a causa dei ritardi nelle chiamate. Anche le procedure sono migliorate nel corso del tempo, nel rispetto delle indicazioni ministeriali, e - quando il sistema non ha ritardi - cercando di ridurre i disagi per le migliaia di famiglie coinvolte. Tuttavia sono rimasti ancora molti margini di miglioramento, anche perché ancora non sono chiarissime ed omogenee sul territorio le attività che dovrebbero essere svolte dai medici di base.
Ad esempio, in caso di positività, vengono inviate le indicazioni di quarantena della famiglia, e solitamente le persone coinvolte, compreso il positivo, vengono contattate dalla centrale covid soltanto dopo circa 7-8 giorni per fissare il tampone di fine isolamento o quarantena. In caso di referto negativo, che può arrivare anche a distanza di qualche giorno dall’effettuazione del tampone, si deve attendere la chiamata della centrale covid e l’invio da parte della stessa di un nuovo certificato che anticipa la data di fine isolamento, e tra referto negativo e fine isolamento reale, passano così altri due giorni, con disagi notevoli a livello familiare, educativo e professionale.
Un altro problema avvertito da molte persone, è che - anche se si riuscisse a migliorare molto il supporto informativo, magari con dei vademecum chiari e completi e l’iter non dovesse subire intoppi – l’ansia creata dalla situazione, la forte preoccupazione per essere stati colpiti da una malattia nuova, pericolosa, e per molti versi ancora misteriosa, richiede comunque la possibilità di poter semplicemente parlare con qualcuno, avere un riferimento che spiega l’iter e rassicura sulle procedure da seguire in caso di aggravamento dei sintomi. Per questo si ritiene che la strada da seguire sarebbe quella del miglioramento delle procedure (vademecum informativo, certificati automatici, sia ad inizio che a fine isolamento, indicazioni per la quarantena dei conviventi, possibilità di prenotazione diretta attraverso il cup dei tamponi etc), ma anche l’indicazione di un numero da contattare, e che non lasci le persone in attesa per ore come purtroppo ancora accade, per coloro che necessitano di una rassicurazione in più, perché uno degli aspetti peggiori della situazione che stiamo attraversando è il senso di solitudine, unito a senso di colpa e preoccupazione, che molte persone stanno vivendo;
in Trentino il numero di tamponi è maggiore che in altre regioni, ma potrebbe essere facilmente implementato coinvolgendo i laboratori privati e pubblici (in particolare Cibio e Istituto zooprofilattico) presenti sul territorio. Rispetto ad altre regioni tuttavia le persone testate rispetto al numero di tamponi sono molto inferiori, anche per la scelta di utilizzare spesso i tamponi molecolari per attività di screening. Questo può portare in alcuni casi a dei rallentamenti; ad esempio se in una casa di riposo “pulita” si effettuano tamponi molecolari ogni 7 giorni a tutti i pazienti e a tutto il personale, ed i tempi di attesa per il referto varia tra 3 e 5 giorni, come accade, potrebbero crearsi rallentamenti in caso di contagio;
nelle ultime settimane si è diffusa molta confusione rispetto alla reale portata del contagio in provincia di Trento, in seguito alla scelta di non confermare le positività ai tamponi antigenici rapidi attraverso tamponi molecolari, che in base ai protocolli andrebbero effettuati a ridosso dei primi. In tal modo moltissimi positivi non vengono conteggiati, poiché l’unico tampone molecolare a cui vengono sottoposti, e che rileva ai fini dei conteggi ufficiali, è quello di fine isolamento e spesso negativo. Tutto questo crea conseguenze rilevanti.
È evidente la contraddizione di un sistema che lascia alla discrezionalità delle regioni il protocollo da seguire rispetto ai tamponi molecolari di conferma da effettuare, lasciando in tal modo una certa discrezionalità rispetto alle conseguenze sui provvedimenti da adottare.
Ai sindaci vengono comunicati entrambi i dati, ma gli stessi devono gestire in maniera diversa i positivi sul loro territorio, dovendo emettere un’ordinanza di obbligo di dimora per i positivi ai tamponi molecolari, ma non ai positivi ai tamponi antigenici (con quali conseguenze giuridiche in caso di violazione dell’isolamento?).
Molta confusione è stata creata dalla scelta della giunta di non comunicare tutti i dati, e lasciando alle ricostruzioni giornalistiche il compito di dare un quadro completo ai cittadini, che ad oggi dovrebbe essere di circa 3000 positivi “ufficiali” ai tamponi molecolari, ma di 10.000 “reali”, con circa 35.000 persone in isolamento o quarantena;
accanto all’importanza dei comportamenti individuali come il corretto utilizzo della mascherina (che troppo spesso si dimentica di ricordare che deve essere cambiata tutti i giorni!), il distanziamento e l’igiene delle mani, è importante promuovere la prevenzione primaria, proseguendo con l’attività di promozione dei corretti stili di vita ad ogni età, dall’alimentazione all’attività fisica, fino all’importanza della relazionalità, per mantenere il corretto equilibrio psicofisico. Questo sia al fine di rafforzare il sistema immunitario e di avere persone più sane ed in grado di rispondere meglio alla malattia in caso di contagio, sia per mantenere una serenità psicologica gravemente messa a rischio dalla situazione che stiamo vivendo;
diverse regioni, ad esempio il vicino Veneto, utilizzano in maniera crescente ed efficace il plasma iperimmune nelle terapie per curare pazienti positivi al Covid-19;
spesso si pongono in antitesi i provvedimenti restrittivi adottati per limitare la diffusione del contagio e la tutela delle attività economiche. Non è facile individuare un modello ideale, perché le variabili sono molte. Alcune analisi evidenziano che la comparazione nella fase 1 della pandemia tra il modello svedese – che non ha fatto un lockdown rigido - e quello dei Paesi vicini, come Norvegia e Finlandia – che hanno adottato lockdown rigido – porta a ritenere che, oltre ad avere una minore diffusione del virus e minore mortalità, nei Paesi che hanno adottato misure più rigorose, il calo economico si è concentrato in un periodo più breve e complessivamente hanno sviluppato dati di PIL migliori rispetto alla Svezia, che pur rimanendo sempre attiva, ha risentito di un’onda più lunga del contagio e delle chiusure esterne ad essa.
In questo momento Trentino ed Alto Adige stanno adottando strategie paragonabili a quelle dell’esempio riportato, pur con dati sull’epidemia quasi perfettamente sovrapponibili sia per numero reale di contagi che di ricoveri ospedalieri, con il Trentino che cerca di mantenere restrizioni minori possibili alle attività economiche, ma con il rischio di un’onda più lunga e che imporra limitazioni per un tempo maggiore, mentre l’Alto Adige ha deciso di adottare misure più rigorose sulle chiusure, ed ora si appresta ad un tamponamento di massa, per abbattere la curva, “sacrificando” il mese di novembre, con la speranza di tornare ad una convivenza con il virus sostenibile nei mesi successivi ed avere così minori ripercussioni economiche.
Si deve anche tener conto che l’eventuale apertura delle piste da sci dovrà tener conto dell’impatto sul sistema sanitario. In questo momento la funzionalità di gran parte dei reparti, compresa ortopedia, è compromessa, e il sistema ospedaliero non sarebbe in grado di assorbire l’elevato numero di traumi conseguenti all’attività sciistica. Mentre in altre realtà, ad esempio a Verona, si è scelto di mantenere più possibile “pulito” l’ospedale centrale, per garantire la maggiore funzionalità possibile dei servizi non covid, concentrando invece sul resto della rete i pazienti covid, in Trentino si è scelto un modello misto, con una forte riduzione delle attività non covid.
Tutto ciò premesso,
il Consiglio della Provincia Autonoma di Trento impegna la Giunta:
in ogni caso a comunicare in maniera chiara e senza reticenze tutti i dati relativi all’epidemia in corso, sia quelli relativi ai contagi che alla situazione clinica ed ospedaliera, e ad adottare le decisioni di politica sanitaria in base all’andamento reale dell’epidemia;
Cons. Luca Zeni
Cons.a Sara Ferrari
Cons. Alessio Manica
Cons. Alessandro Olivi
Cons. Giorgio Tonini
Cons….