Sara Ferrari, 29 aprile 2010
Il desiderio di possedere casa è comprensibile e non è opportuno ostacolarlo in un momento di crisi economica in cui i cittadini cercano certezze nell’investimento dei propri risparmi.
E’ giusto però, alla luce dei dati sull’indebitamento delle famiglie trentine e sui prezzi di un mercato dell’acquisto e dell’affitto certamente condizionati dalle agevolazioni pubbliche, chiedersi , in sede di revisione della legge sulla casa, in quale direzione stiamo andando e quali sono le prospettive future. E’ giusto che ci rendiamo consapevoli che aiutare alcuni cittadini che accedono gli aiuti, mette in difficoltà altri che acquistano su un mercato di fatto drogato.
Il sistema oggi in vigore nella nostra provincia per aiutare i cittadini a più livelli e con diverse possibilità, con diversificati strumenti (edilizia pubblica, integrazione al canone, canone moderato, agevolazione su acquisto prima casa)è senz’altro unico e all’avanguardia, ma deve diventare più flessibile, e prevedere che questi strumenti abbiano una logica comune e non determinino risultati schizofrenici diversi dalle buone intenzioni. Abbiamo imparato come il fatto di introdurre, togliere o modificare una soglia di ricchezza, sia in accesso che in uscita rispetto al diritto di accedere ad una agevolazione, o cambiare il sistema di calcolo determini disparità enormi fra cittadini. E’ necessario che si ponga mano alla legge sulla casa prevedendo modifiche sostanziali a talune distorsioni che attualmente si verificano. L’edilizia pubblica deve essere una risposta al bisogno acuto, come soluzione transitoria, nella previsione e nell’accompagnamento poi delle famiglie ad uscire dalla propria difficoltà.
Per i giovani che iniziano a pensare alla propria sistemazione, gruppo sociale oggi più in difficoltà, gli aiuti possono venire dalla stipulazione di contratti di affitto a canone moderato, previsti ma non ancora partiti.
Bisogna prevedere poi che chi supera la soglia reddituale di permanenza nelle case ITEA possa passare ad un affitto a canone moderato (oggi non è possibile) ed essere accompagnato con un piano finanziario concordato ad uscire dalla casa pubblica, se la sua situazione finanziaria è effettivamente migliorata. Oggi la rigidità del sistema spinge molti a non cercare di migliorare la propria posizione economica o a lavorare in nero, per non rischiare di perdere la casa. Ci vuole un patto sociale perché con i soldi dei contribuenti (150 mil di euro nel nuovo piano casa) si favoriscano il benessere e la crescita sociale, non l’incancrenirsi delle situazioni di povertà; meglio fare contrattazione sulla situazione finanziaria con rapporti individualizzati che non la rigidità dell’automatismo attuale.
I finanziamenti per agevolare l’acquisto della prima casa non possono favorire solo le imprese e il consumo di territorio, ma devono essere effettivamente regolati su scelte urbanistiche pubbliche e non del singolo, devono incentivare il rinnovamento del patrimonio edilizio esistente, soprattutto in città e devono essere diretti a chi dimostri di poter fare l’indebitamento senza rovinarsi. Bisogna cambiare mentalità, passando dal concetto di “diritto alla casa” a quello di “contributo pubblico” come aiuto per migliorare.
E’necessario che i controlli sulla fruizione dei benefit pubblici siano effettuati con rigore ed efficacia, non per angariare il cittadino, ma per evitare abusi che pesano sul bilancio pubblico, che è dei cittadini.
C’è da affrontare il tema del sostegno alle giovani coppie, inteso in senso più moderno, come aiuto al progetto di genitorialità, e allora vanno sostenute anche le coppie di conviventi, numerose oggi in Trentino, perché se nell’ICEF per entrare in graduatoria vengono calcolati reddito e patrimonio dei conviventi e quindi si riconosce che esiste questa tipologia di coppia, allora è giusto che essa rientri anche nel diritto all’aiuto.
Bisogna anche che si creino condizioni per la convivenza serena nei luoghi della residenza popolare, non a parole, ma con strumenti che valutino la criticità sociale dei vari contesti di vita comunitaria, e consentano a chi fa l’assegnazione degli alloggi di evitare la sommatoria di problemi soggettivi degli affittuari, distribuendoli invece in luoghi diversificati ai fini della loro sostenibilità individuale e collettiva.