«Non so se siamo in un momento Hamilton, certamente però il Recovery Fund può essere l’atto fondativo di un’Europa che non è più solo unione monetaria, ma anche istituzione con una politica di bilancio comune». Paolo Gentiloni, in collegamento da Bruxelles, nell’inedita cornice streaming del Festival dell’Economia di Trento che si è aperto ieri, raccoglie solo in parte la (bella) provocazione di Tito Boeri.
F. Barana, "Corriere del Trentino", 30 maggio 2020
L’ex presidente dell’Inps, dialogando con l’ex premier e attuale commissario europeo agli Affari economici, paragona il Recovery Fund — l’imponente piano di 750 miliardi di bond europei da emettere sul mercato varato nei giorni scorsi dalla Commissione europea — alla riforma di Alexander Hamilton, il ministro americano che nel 1792 mutualizzò il debito dei singoli Stati americani convertendolo in debito federale, dando così impulso e sostanza politica agli Stati Uniti da poco nati.
Gentiloni misura le parole, non arriva a dire che il Recovery Fund sia il vagito di un percorso di unità politica e federale dell’Ue («anche se per la mia storia culturale lo auspico») tuttavia, dice, «abbiamo per la prima volta un volume di fuoco nella politica di bilancio sovranazionale dell’Ue». Europa «che fino a oggi si era limitata a essere l’Unione dei parametri economici, delle soglie e, in caso di mancato rispetto delle regole, delle procedure d’infrazione». «Prima del Recovery Fund — continua Gentiloni — l’Ue nella sua storia aveva adottato solamente misure di sostegno intergovernative come il Mes alla Grecia dopo la crisi del 2008, questa volta siamo di fronte a una cosa ben diversa, straordinaria». Il fatto, ha spiegato Gentiloni, è che «davanti a una crisi senza precedenti che ha colpito simmetricamente tutti i Paesi membri, producendo però effetti asimmetrici da Paese a Paese, l’Europa ha dimostrato di reagire repentinamente ed efficacemente con strumenti nuovi e comuni».
Ed eccoci al Recovery Fund, «il pacchetto più grosso, parliamo di 750 miliardi di euro, 500 miliardi sono contributi e 250 miliardi prestiti. A questi vanno aggiunti i 100 miliardi del Sure, che ha anticipato il Recovery Fund ed è stato il primo strumento di finanziamento comune».
L’Italia, uno dei Paesi europei più colpiti dalla crisi economica per effetto del Covid, dovrebbe essere il primo Stato membro in termini di risorse allocate: «Circa 170 miliardi — ha detto Gentiloni — 81 di contributi e 90,9 a prestito». Senza dimenticare, ha sottolineato l’ex Presidente del Consiglio, «gli strumenti di supporto finanziario che entreranno in vigore già quest’anno, come il Mes senza condizioni per le spese sanitarie, fino al 2% del Pil per ogni Paese, quindi per l’Italia circa 35 miliardi, e i 200 miliardi della Banca d’investimento europea per le imprese».
Quanto ai tempi tecnici, servirà circa un anno per vedere elargiti i 750 miliardi: «In primis dobbiamo aspettare che il Consiglio europeo approvi la proposta della Commissione, credo avverrà ai primi di luglio». Il compimento dell’iter legislativo è più formale che sostanziale: «Non ci saranno modifiche decisive a quanto stabilito dalla Commissione, al limite piccoli ritocchi, ma l’assetto della riforma è questo». Poi «nel gennaio 2021 i 750 miliardi del Recovery Fund saranno messi a bilancio ed entro la primavera del 2021 saranno allocati ai Paesi membri».
«Ma come farà l’Ue a reperire le risorse per coprire un fondo di tale portata?» chiede Boeri. Perché è vero che per rendere appetibili i bond sul mercato verrà usato a garanzia il bilancio Ue 2021-2027, bilancio che però sembra esiguo. «Non c’è il rischio — domanda Boeri — che sia crei un terzo livello europeo di tassazione per cittadini dopo quello statale e locale?». Gentiloni esclude categoricamente l’ipotesi: «E lo dico da commissario che ha anche la delega alla tassazione, ma senza che questa appaia una minaccia» aggiunge ironico. Premesso, spiega Gentiloni, che «la Commissione ogni anno riceve i contribuiti netti dei Paesi membri e una quota Iva», l’intenzione «è aggiungere nuovi introiti» con tasse di scopo ambientale — «dalla plastic tax alla tassa sui combustibili fossili e sulle emissioni inquinanti» — e intervenire «con la digital tax sulle piattaforme web» delle multinazionali che, per dirla alla Boeri, s’annidano nei «paradisi fiscali europei».
Vittorio Colao, il super manager a capo di una delle due task force governative per la gestione della fase due, intervenuto dopo Gentiloni, si è detto d’accordo sulla web tax. «Deve però essere europea, altrimenti ogni Stato ne mette una diversa, va creato un coordinamento. E serve anche rendere obbligatorio un sistema di tax report delle multinazionali per vedere quante tasse pagano in ogni Paese». Colao poi ha affrontato il tema del tracciamento attraverso l’uso della tanto discussa app Immuni: «Sarebbe utile un dibattito meno ideologico e più sofisticato. Chi protesta ventilando un attacco alla privacy poi magari è quello che scrive qualunque cosa di sé sui social e non ha problemi a dare i suoi dati a facebook. Io personalmente per la salute mia e del Paese non avrei problemi a fornire dei dati sensibili di tipo sanitario. Anzi lo vedo come strumento di garanzia».