Davvero l’autonomia si sostanzia nelle scaramucce con Roma? Siamo di fronte a una notevole debolezza. Al Trentino serve un deciso cambio di passo. Il futuro della comunità trentina, e la legittimazione stessa della nostra autonomia, dipenderanno dalle scelte che verranno compiute nelle prossime settimane.Luca Zeni, "Corriere del Trentino", 1 maggio 2020
Non ci riferiamo al tema delle competenze giuridiche tra Provincia e Stato. Appare strumentale orientare il dibattito ora, a due mesi dall’inizio dell’epidemia, su un conflitto che in Trentino non ha ragion d’essere. «Lo Stato è lento nel riaprire, faremo una legge provinciale per poter fare da soli», la sintesi delle dichiarazioni del presidente Fugatti in questi giorni. Se in Alto Adige la posizione della Svp si comprende, pur senza condividerla, dentro vecchie dinamiche politiche ancora non superate e si giustifica per dati di contagio al momento sotto controllo e per una capacità programmatoria riconosciuta, in Trentino le condizioni sono completamente diverse, purtroppo anche per dati sul contagio tra i peggiori al mondo. Davvero l’autonomia si riduce a un conflitto di competenze per riaprire qualche giorno prima qualche attività economica, e alla rivendicazioni di maggiori risorse con lo Stato, motivate da argomentazioni tanto irresponsabili quanto sorprendenti sul fatto che «tanto ormai i conti pubblici sono saltati»?
L’impressione è che le dichiarazioni di questi giorni siano un segnale di notevole debolezza e una conferma di mancanza sia di prospettiva sia di piena consapevolezza del concetto di autonomia. Per la Provincia di Trento «consapevolezza dell’autonomia» significa saper governare un sistema complesso, con una funzione di guida che si esplica attraverso capacità programmatoria e di coordinamento del sistema. È la capacità di visione e di programmazione che consente l’autorevolezza — prima ancora della competenza giuridica — sia nei confronti dei tanti interlocutori sul territorio trentino, sia nei confronti dello Stato.
Tale consapevolezza avrebbe consentito di anticipare la diffusione del virus nella primissima fase, anche grazie all’esperienza di Lombardia e Veneto, «contagiate» prima del Trentino, chiudendo prontamente piste da sci e case di riposo. La stessa consapevolezza avrebbe dovuto portare la Provincia a sentirsi regia del sistema a prescindere dalle competenze giuridiche, ad esempio coordinando da subito le misure di sicurezza nelle case di riposo (e non attendere settimane ad attivare il supporto necessario), o chiamando a raccolta le strutture sanitarie private (e non attendere le sollecitazioni esterne). Ma soprattutto individuando una strategia capace di contenere il contagio attraverso tamponi tempestivi e mirati, sul modello del vicino Veneto.
Anche il tabù della scuola — essenziale perché i genitori possano riprendere il lavoro — avrebbe potuto essere affrontato dal governo dell’autonomia con una proposta organica, capace di adattare le migliori esperienze internazionali (distanze in aula, entrate scaglionate, parziali videolezioni, lezioni all’aperto..) a una visione trentina, e forti della serietà della proposta, concordare con Roma una fase di sperimentazione. Invece il vuoto di iniziativa ha caratterizzato lo spaesamento del mondo della scuola trentina. Gli errori della «fase 1» devono essere un monito per un cambio di passo. Sul piano sanitario l’implementazione di tamponi e analisi sierologiche diffuse dovrà consentire di individuare altri possibili focolai; ma ricordiamoci che, più del numero totale dei test, contano il «quando» e il «come» vengono svolti.
La politica dei test è lo strumento che può consentire una ripresa del sistema socio economico, insieme al rispetto delle norme igieniche e sul distanziamento fisico. Ecco che allora la capacità programmatoria dell’autonomia dovrebbe consentire proposte coraggiose, perché la domanda non è «cosa» riaprire in questa fase, ma «come». Il disegno di legge della giunta rischia di essere ancora una volta interlocutorio, un elenco di provvedimenti settoriali: alcuni positivi nel fornire sostegni ad attività in difficoltà, altri poco approfonditi (pensiamo all’idea improvvisata e poco sostenibile di una «amazon» trentina), ma il vero problema è che non c’è una cornice complessiva che definisce una prospettiva.
Occorre muoversi su tre piani. Il primo è garantire la «continuità esistenziale», fornendo a tutti i cittadini nel più breve tempo possibile gli strumenti per muoversi nel nuovo mondo: banda larga, tablet e strumenti informatici per chi non può permetterseli; cambio di passo sul welfare domiciliare, con telemedicina e teleassistenza diffusa; servizi per le famiglie.
Il secondo è garantire continuità economica, ed è l’ambito su cui più si è concentrata la giunta provinciale: garantire liquidità alle imprese, garanzie sui mutui, rinvio del pagamento delle imposte, integrando provvedimenti nazionali.
Il terzo è lavorare alla «discontinuità economica»: accanto alla «contribuzione a pioggia» occorre legare sin da subito le risorse a politiche di investimento in grado di riconvertire quei settori che erano già in crisi prima del virus. Pensiamo ai servizi alla persona, al territorio, all’ambiente, a una riforma del turismo che non si riduca a riassetto della governance delle Apt, ma a nuovi elementi di attrattività. Il Trentino oggi rischia una recessione senza precedenti. È ora di un cambio di passo.
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