Siamo ancora nel pieno dell’emergenza, ma è già tempo di interrogarsi sul mondo di domani. Questo in Trentino sarebbe già dovuto accadere dopo la tempesta Vaia, in relazione al tema ambientale, della sostenibilità e al modello di sviluppo, ma non è successo. Alessio Manica, "Corriere del Trentino", 3 aprile 2020
Anche se può suonare male, faccio quindi mie le parole dell’economista Mariana Mazzuccato quando dice “non lasciamo che questa crisi vada sprecata”, e chiediamoci, come suggerisce il filosofo Giorgio Agamben, “se il modo in cui vivevamo prima dell’emergenza era giusto.”
Il mondo di domani non sarà più lo stesso. Saremo chiamati a nuovi modi di vivere, di lavorare, di stare assieme agli altri. “Ma come per tutti i cambiamenti - scrive il MIT Technology Rewiev - ci saranno alcuni che perderanno più degli altri”, e quindi “il meglio che possiamo sperare è che la profondità di questa crisi costringa finalmente i Paesi a riparare le disuguaglianze sociali”; e pure quelle ambientali, aggiungo, perché non può esserci giustizia sociale senza giustizia ambientale.
L’uscita dalla crisi richiede una rinnovata solidarietà, un ragionamento plurale e non più solo individuale, e questo può nascere proprio dall’esperienza che stiamo vivendo. In questi giorni le comunità stanno riscoprendo i valori più profondi: la solidarietà, la fiducia, la coesione, l’operosità, la responsabilità, la cooperazione. Ora ci siamo rinchiusi, per obbedienza o per autoconservazione, lo abbiamo fatto come singoli e come collettività, ma non possiamo correre il rischio di normalizzare questa situazione.
Pensare, in maniera regressiva, che la soluzione per uscire dalla crisi sia rinserrarsi nella dimensione locale – illusoriamente misurabile in un preciso e contenuto raggio territoriale - o peggio ancora affidarsi ad un uomo solo al comando - smarrendo il messaggio insito in questa emergenza che è invece quello di essere parte di un mondo interconnesso e di un’unica humanitas globale, sarebbe un errore irreparabile. Siamo tutti consapevoli dell’emergenza, ma affrontare la crisi sanitaria è solo un aspetto; attenuare quella economica è altrettanto urgente, ma è probabilmente quella sociale che deve assorbire il maggior sforzo per evitare che la crisi sanitaria diventi anche crisi morale.
È quindi tempo di chiederci, tutti, democraticamente, che strada vogliamo prendere, come ripartire, quali priorità vogliamo darci come comunità autonoma in un mondo globalizzato ed interdipendente. L'Autonomia stessa è infatti davanti ad una sfida enorme: sono giuste le preoccupazioni di Roberto Pinter sui rischi che corre, e al contempo ci vuole grande prudenza - come ricorda Lorenzo Dellai - nel chiamarsi fuori dalle dinamiche più ampie. Aggiungo anche la necessità che questa partita venga giocata in stretta sinergia con il Südtirol, in chiave regionale, euroregionale ed europea, perché si corre anche il rischio di uscire dalla crisi con un ulteriore ampliamento del divario tra le due Province Autonome. Vista l’enorme quantità di denaro pubblico che gli Stati, l’Europa, le Regioni e anche la nostra Provincia riverseranno nel tessut
o economico e sociale, è necessario chiedersi come verranno spesi quei soldi, chi ne beneficerà, per farne cosa, con quali sistemi di controllo. Concordo con lo storico israeliano Yuval Noah Harari quando dice che “le decisioni prese da perso e governi nelle prossime settimane probabilmente daranno forma al mondo per gli anni a venire”, ed è quindi necessario considerare le conseguenza a lungo termine di queste decisioni.
Fatto salvo il veloce e sacrosanto sostegno al reddito e ai consumi privati e l'iniezione di liquidità per famiglie e imprese, guai a cadere nel tranello dello sguardo breve, del solito modo di immaginare la ripresa economica, delle eterne manovre anticongiunturali. E mi spiego con un esempio. Se accelerare recuperando i ritardi nella realizzazione del nuovo ospedale (anche alla luce di questa emergenza) ha un senso, nessun senso ha rilanciare grandi opere come Valdastico e tangenziali che oltre a riproporre uno sviluppo incompatibile sarebbero anche troppo lontane come realizzazione per essere di qualche utilità, oltre che solo marginalmente coinvolgenti per l'economia locale.
Partiamo invece da un grande piano di investimenti sulla sicurezza del territorio, sulla sua manutenzione, con interventi grandi e piccoli, così da garantire occupazione e competitività del tessuto imprenditoriale. Acceleriamo gli investimenti sulle reti tecnologiche, incentiviamo ancora l’efficientamento energetico del patrimonio edilizio pubblico e privato, acceleriamo sulla mobilità sostenibile. Si usi la partita del rinnovo delle grandi concessioni idroelettriche non solo per garantirsi risorse ma anche per confermare e d’implementare un modello virtuoso di gestione della risorsa idrica che veda il bilanciamento tra valori ambientali, sociali, di sicurezza ed economici: si investa su un Green New Deal trentino, avendo il coraggio di innovare politiche ambientali ed economiche che rischiano ormai di essere obsolete.
Proprio per ripartire dal territorio e per raccordare la spesa pubblica alle politiche di contrasto al cambiamento climatico, provo a suggerire delle priorità che permetterebbero di saldare virtuosamente politiche per il lavoro e politiche sociali.
La nostra Provincia ha anticipato sia con il Progettone che con l'Assegno unico le politiche che oggi ovunque vengono indicate come necessarie. Abbiamo la possibilità di ripartire da questi due strumenti per allargarli e reinventarli affinchè ci si possa raccordare con le politiche nazionali e offrire cittadinanza e non solo protezione sociale. Tanti, probabilmente troppi, si ritroveranno senza lavoro a partire dalla compromissione delle prossime stagioni turistiche e dalla crisi internazionale. Si tratta allora non solo di offrire copertura di reddito per tutti, ma anche possibilità di lavoro che offrano un doppio vantaggio: riconoscimento sociale e beneficio per il territorio. Imprese e cooperative sociali potrebbero essere finanziate in ragione della manodopera impiegata, della formazione assicurata, del reinserimento sociale, individuando gli obiettivi e verificandone il raggiungimento. Non basta il reddito anche se è la priorità per molte famiglie. Ci vuole un lavoro socialmente utile e produttivo che dia protezione sociale e diritto di cittadinanza.
Si investa sulla ricerca e l’innovazione, sull’Università e la scuola. Il tutto con due grandi obiettivi di lungo periodo: frenare gli effetti dei cambiamenti climatici e ridurre le disuguaglianze sociali, per altro drammaticamente esplose in questa emergenza che ha reso i più deboli ancora più fragili e marginalizzati. Ancora, si usi l’esperienza di queste settimane per avviare finalmente un massiccio, viscerale, capillare processo di semplificazione amministrativa, che valorizzi i legami di fiducia tra pubblico e privato e privilegi la responsabilizzazione e la valutazione rispetto al controllo e all’adempimento formale, e per rinnovare e rigenerare le competenze della Pubblica Amministrazione.
In questo scenario, i soggetti pubblici possono giocare un ruolo strategico e determinate, e questo vale anche per il Trentino, dove – ne sono certo – la Provincia e i suoi enti strumentali hanno tutte le carte in regola per governare questo complesso frangente, rinnovando il patto con la comunità e immaginando – in modo trasparente e partecipativo - una nuova stagione per la nostra Autonomia in cui il Trentino torni a farsi laboratorio e incubatore di buone pratiche. Possiamo trasformare questa prova gigantesca in uno stimolo collettivo per la ripartenza ma dobbiamo tenere lo sguardo alto e comprendere che da questa situazione o ne usciamo tutti assieme o non ne usciamo proprio.
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