Grazie alla capacità dell'Università di Trento e del Rettore di elaborare un progetto credibile e di prospettiva, il pasticcio creato dal presidente della Provincia Fugatti si è chiuso nell'unico modo in cui poteva sensatamente chiudersi.
Sara Ferrari, 24 gennaio 2020
Cioè con una proposta accademica trentina che, se il Ministero darà la sua approvazione, dal prossimo anno accademico porterà a Trento un corso di laurea in medicina sviluppato in collaborazione con l'università di Verona e senza quella di Padova, che nella proposta non compare, con buona pace di chi ancora racconta di un "accordo a tre".
È sempre un bel momento quello in cui si celebra la nascita di una nuova offerta formativa, che aumenta le opportunità per i nostri giovani nella scelta del percorso di studi verso le professioni. Ma, ce n'era bisogno? La ridotta popolazione studentesca e la vicinanza con Verona, che ospita un corso di medicina e da anni collabora con Trento per le professioni sanitarie, aveva finora fatto propendere per il no. In particolare, perché fino all'autunno scorso erano bloccate in Italia da quasi vent'anni le autorizzazioni ad aprire nuove specializzazioni, senza le quali non si conclude il percorso formativo dei medici.
Così, nel tempo, gli investimenti della Provincia in questo settore sono stati rivolti allo sviluppo di aree di ricerca e specializzazione che interessassero il mondo della salute, ma senza la necessità di una nuova facoltà. Sono nati il Cibio, con le sue scoperte mondiali sulle tecnologie della vita, che studia come affrontare alcune delle malattie neurologiche più diffuse nel nostro tempo; il Cimec, Centro mente e cervello, che su malattie neurodegenerative attrae ricercatori anche dal MIT di Boston; il Centro di Protonterapia, che fa ricerca e clinica sui tumori; le ricerche di FBK e Fondazione Mach nell'eccellenza tecnologica e per la salute alimentare.
Solo da pochi mesi è diventato possibile in Italia aprire corsi di specializzazione, e questo può ora consentire di espandere e valorizzare le specializzazioni già esistenti sul territorio. In questo mutato scenario, aprire oggi in Trentino una scuola di medicina può avere un suo senso, a patto di non nascondersi gli elementi di debolezza connessi alle caratteristiche del nostro territorio. A partire dal numero di pazienti, che sono ovunque il vero dato perno per una ricerca medica di qualità, e che il nostro piccolo territorio garantisce fino a un certo punto; e dai costi, che lieviteranno dagli iniziali 5 milioni di euro per arrivare nei prossimi anni "ad alcune decine", in una situazione di bilancio provinciale che subirà il noto decremento di 200 milioni di euro all'anno dal 2021 e che imporrà alla Giunta scelte necessarie di tagli ai servizi pubblici.
Ne sarà valsa la pena? Possiamo solo sperarlo per i Trentini. Quello che è certo è che il gigantesco pasticcio politico-accademico maturato negli ultimi due mesi, è nato proprio dall'idea sbagliata del Presidente Fugatti di risolvere un problema sanitario-amministrativo come la mancanza di medici, con una soluzione di tipo universitario. I primi specializzati trentini li avremo tra 7 anni e prima potremo contare solo su volontari da Verona (e forse Padova). I modi poi con cui è stata condotta dalla Giunta questa operazione restano sconcertanti, per lo scarso senso istituzionale che hanno rivelato e per la pessima figura fatta fare alla comunità trentina, sia nei confronti del mondo accademico che di quello sanitario italiano.
Nessuna regione in Italia ha infatti una "propria" università. Ci sono tante università private, ma nessuna università pubblica statale ha con il governo locale e con il territorio il rapporto speciale di cui gode quella trentina. Non solo per come l'Università di Trento è nata, ma perché nel 2011 lo Stato ne ha delegato alla Provincia la responsabilità sulle "funzioni legislative e amministrative". Da allora circa 112 milioni di euro all'anno di soldi delle nostre tasse servono per pagare gli stipendi dei professori e dei funzionari, dei custodi e dei bibliotecari, gli affitti e il riscaldamento delle sedi, la mensa, i posti alloggio, le borse di studio, i progetti di ricerca della "nostra" università. Una scelta che ha permesso al Trentino di avere sul suo territorio un'eccellenza accademica che si confronta con la parte politica e che "insieme", ogni anno, condivide indirizzi, percorsi di studio e di ricerca che possano essere i più interessanti non solo per i giovani studenti, ma per le utili ricadute sulla nostra comunità. Questa situazione unica e speciale ha rischiato di essere compromessa dall'incredibile superficialità del Presidente della Giunta, che per farsi fare un progetto di laurea in medicina si è rivolto a Padova, senza nemmeno condividere quest'idea con chi, sul suo territorio, è già tenuto ad organizzare percorsi formativi in accordo con la Provincia.
Grazie all'Ateneo e al nostro mondo accademico, ha vinto oggi una proposta seria che parte da spazi, persone, progetti, alleanze ed eccellenze già patrimonio pubblico di tutta la provincia. Un'ottima risposta della comunità universitaria trentina agli interessi dei Trentini, nonostante la cialtroneria politica di chi, nel loro interesse, dovrebbe governare.