«Questo è il mio dodicesimo bilancio. Il primo fu quello del 2008, quando ero sindaco reggente successivamente alle dimissioni di Alberto Pacher». Quello approvato lunedì scorso non è solo il bilancio di fine anno, è anche quello di una legislatura: «Di più — afferma Alessandro Andreatta — è quello dei 10 anni. Non accade dai tempi di Goio che un sindaco porti in Aula il bilancio di tutto l’arco della sua amministrazione».
D. Baldo, "Corriere del Trentino", 18 dicembre 2019
Pacher, come ricordato, si dimise per il Consiglio provinciale nel 2008, così Lorenzo Dellai nel 1999.
Sindaco, cosa lascia alla sua città? Come riuscirebbe a sintetizzare in poche righe la sua azione di governo?
«Lascio una città unita, che è ancora una comunità. Ho lavorato proprio per questo, per tenerla assieme, perché mantenesse questo legame. Sembra una cosa del tutto immateriale, ma significa molto».
«Sentirsi comunità». L’auspicio del presidente Mattarella per l’intera Nazione.
«Lui, con la sua autorevolezza, per il Paese. Io, nel mio piccolo, per Trento. Sono diventato sindaco nel 2009, nell’anno in cui la crisi era ormai conclamata, dieci anni di sindaco in una fase economica non certo facile, con minori risorse ma anche con il rischio di una crisi valoriale. Perché succede questo quando l’economia arranca, che si diventi tutti più egoisti, che si perdano di vista i valori dell’accoglienza, della solidarietà. Che venga meno il senso di comunità».
E questo è stato evitato. Come?
«Con la mediazione, con l’impegno quotidiano. Con il lavoro instancabile nel trovare la sintesi. La migliore sintesi possibile».
Nella prossima primavera ci sarà un nuovo sindaco.
«Io farò il tifo per chi sarà al timone. Ma soprattutto farò il tifo perché sia data continuità alla città-comunità, capace di andare avanti garantendo a chi riesce di spiccare il volo ma capace anche di farsi carico di chi cade, mettendo a disposizione un paracadute. Farò il tifo per chi saprà meglio interpretare il preambolo del nostro Statuto, che dice di una città aperta a tutte le culture, a tutte le religioni, a tutte le categorie del pensiero. E aggiungo a tutte le età, a tutte le condizioni sociali ed economiche».
Quali sono le sfide per il futuro che la città e il nuovo sindaco dovrà affrontare?
«Ci sono delle priorità da tenere presenti: le migrazioni, i cambiamenti climatici, l’invecchiamento della popolazione. Le migrazioni: aver deciso di interrompere il progetto provinciale della diffusione sul territorio dei richiedenti asilo è stato un errore. Il problema non è la loro presenza ma la loro concentrazione. Se poi si aggiunge lo smantellamento dell’accoglienza...».
Diceva anche dei cambiamenti climatici.
«Tutti ne parlano ma quando si propongono scelte coraggiose non tutti sono disponibili a cambiare il proprio stile di vita. Si vuole arrivare con il veicolo provato ovunque. In questi anni abbiamo aumentato le piste ciclabili, abbiamo fatto le corsie preferenziali, siamo intervenuto sul trasporto pubblico e sulla pianificazione urbanistica. Abbiamo fatto tanto ma ancora tanto c’è da fare, partendo dal convincere i cittadini a mettere in discussione le loro abitudini».
La terza sfida è l’invecchiamento della popolazione.
«Quando entrai i giunta come assessore la percentuale degli anziani over65 era del 18%. Oggi siamo al 23%. Arrotondando possiamo dire che in 20 anni si è passati da un quinto a un quarto. Abbiamo Rsa stupende, più d 20 circoli anziani. Ma dobbiamo pensare a qualcosa di più, e dobbiamo pensarci a più livelli, non solo comunale».
Trento è anche la città della conoscenza, dell’università, dei musei. La politica ne è davvero consapevole?
«Non sempre si ha la consapevolezza di questa grande risorsa, non sempre è stata in grado di cogliere questa potenzialità. Ricordiamoci che l’università ha aperto la città al mondo, ci ha internazionalizzati, ci ha aiutato a crescere».
Tra le tante cose fatte, di quale va più orgoglioso?
«Di due progetti a cui tenevo molto. Uno è quello dei Beni comuni che ha coinvolto più di 7.000 cittadini, giovani e anziani che hanno contributo a migliorare la città. Il secondo il progetto del Controllo di vicinato. Anche in questo caso, i cittadini che dal basso difendono i propri quartieri, senza divise, senza bandiere, senza stemmi. Da cittadini che si sentono parte della stessa comunità».