«Per non diventare la retroguardia del mondo Trento deve sostenere lo sviluppo della sua università». Sono parole del sindaco Alessandro Andreatta che, commosso, ha letto l’ultima relazione di bilancio. Per il futuro Trento dovrà puntare su ricerca, accoglienza e ambiente.M. Giovannini, "Corriere del Trentino", 5 dicembre 2019
«Sono stati venticinque anni: non avevo quarant’anni, oggi ho superato i sessanta». In piedi in quell’Aula di Palazzo Thun che è stata un po’ la sua «seconda casa» dalla «metà esatta degli anni Novanta», ieri il sindaco di Trento Alessandro Andreatta non ha nascosto un pizzico di emozione. Il suo «commiato» — racchiuso nell’ultima relazione di bilancio della consiliatura, a pochi mesi da elezioni che non lo vedranno protagonista — è diventato, naturalmente, l’occasione per ripercorrere parte di quegli anni trascorsi alla guida dell’amministrazione comunale. Con lo sguardo proiettato in avanti. Alla Trento del 2030.
«Ho visto la città cambiare e ho avuto un ruolo nella sua trasformazione» ha ricordato Andreatta. Che ha ringraziato per un «impegno totalizzante». Ma soprattutto per l’«onore» dell’incarico ricoperto in questi anni. Trentun pagine di relazione, quelle lette da Andreatta, per raccogliere le direzioni imboccate nel percorso alla guida di Palazzo Thun (con riferimenti a Joan Busquets e Adriano Goio) e proiettarle verso il futuro. Insistendo sulla vocazione culturale ed universitaria di Trento. Invocando una stagione «di crescita sostenibile e bilanciata». E allontanando «certa politica che evoca slogan emozionali». Con stoccate al centrodestra nazionale e locale tutt’altro che delicate.
Una Trento trasformata in popolazione, tessuto sociale, ma anche economia: da qui è partito Andreatta. Che ha voluto subito affrontare uno dei temi cardini del dibattito politico: l’Autonomia che nel resto d’Italia viene considerata «alla stregua di un privilegio ingiustificato». In un momento di crisi di legittimazione, il sindaco ha fatto capire di puntare sul welfare, sulle politiche equitative, per «evitare la spaccatura devastante fra una società degli inclusi e dei garantiti e una società degli esclusi dal sistema delle opportunità e delle risorse». I segnali di cedimento, ha messo in guardia Andreatta, ci sono già, nei «tagli paventati per il Progettone e per la sanità», ma anche «in un sentire comune sempre più rancoroso, non privo di meschinità. Non è alimentando la paura che si potranno contrastare queste derive: non è rubandosi l’ultimo pezzo di pane, ma garantendo che ci sia più pane per tutti, che si potrà costruire una convivenza più giusta». Una riflessione con riferimenti provinciali, che il sindaco ha allargato anche al livello nazionale, la cui «situazione economica imbarazzante» preoccupa. Così come «il manifestarsi e il prevalere di forme di violenza verbale pervasiva, senza filtri, inquietante anticamera di violenze fisiche, che pretende di parlare, spesso superficialmente, a nome di un’entità variegata e complessa come è quella del popolo».
Ma è su Trento che si è concentrato lo sguardo di Andreatta. Sulla visione della «Trento che vogliamo». Con il sindaco uscente deciso a scansare lo scenario «inerziale» — che «non ha un progetto o che crede di poterne farne a meno» — e quello liberista — che «intende la redistribuzione non come un gesto di equità ma come un fastidioso e inopportuno prelievo» — per sposare lo scenario della «narrazione condivisa», della città «come luogo di convivenza, di scambio, di dialogo e di incontro». «Non è questo — è stato il monito — il momento per accontentarsi, per accettare dinamiche inerziali, per non mettersi in discussione: perché se lo facesse, Trento si condannerebbe all’irrilevanza, al rancore, all’involuzione e al degrado».
Tre, secondo Andreatta, gli elementi costitutivi dello scenario futuro: il fattore territoriale, quello sociale e quello culturale. Nel primo elemento chiave, il sindaco ha collocato innanzitutto la «rivoluzione» della mobilità che coinvolgerà il capoluogo, con l’interramento della ferrovia, il Nordus, l’ascensore obliquo, ma anche il grande impianto verso il Bondone. E poi le politiche per la casa (con la necessità di trovare «un mix sociale che eviti la creazione di quartieri che diventino luoghi di elezione e selezione o, all’estremo opposto, luoghi di esclusione»), l’ambiente e il cambiamento climatico, il verde. E le eccellenze culturali: «Per non diventare la periferia dell’impero, per non rassegnarci a essere la retroguardia del mondo, Trento deve sostenere, oggi più di ieri, lo sviluppo dell’Università, dei suoi centri di ricerca, di quel settore dell’Ict che ha potenzialità enormi ma che, in assenza di un sistema in grado di garantire personale qualificato, spazi, risorse e coordinamento, rischia di limitare la propria crescita o, nel peggiore dei casi, di migrare in cerca di contesti più favorevoli».
Sul fronte del sociale, l’obiettivo fissato da Andreatta è quello di «scongiurare il rischio che si consolidi una società divisa e divisiva». Guardando ai giovani ma anche agli anziani e ai «concittadini stranieri». Nel riconoscimento della «ricchezza delle diversità», così come dell’importanza del «rispetto delle differenze».
Infine la cultura. Anzi: l’«urgenza di una elaborazione culturale». «Dovremmo liberarci da una discussione tutta amministrativa per affrontare invece i temi legati ai finalismi dell’investimento culturale» ha ammonito il sindaco. Che ha fissato la strada: «La cultura deve essere pensiero, cioè rinnovamento, evoluzione, discontinuità creativa, trasgressione». E se la difficoltà dell’avvicendamento generazionale ha portato alcuni giovani a trovare lontano da Trento traguardi prestigiosi, l’obiettivo locale deve unire settori diversi: «Trento — ha concluso Andreatta — in quanto destinazione turistica deve accreditarsi come distretto culturale».
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