La Provincia autonoma di Trento a trazione leghista si arroga un nuovo potere: irrogare pene accessorie indirette. In uno stato di diritto, si sa, è il giudice che stabilisce la pena secondo i principi di legge.
Giulia Merlo, 21 novembre 2019
In Trentino, invece, la Lega vorrebbe aggiungere un altro tassello alle sentenze di condanna, approvando un disegno di legge in cui si prevede che tra i requisiti per gli assegnatari delle case popolari Itea ci sia il fatto che “il richiedente e i componenti del nucleo familiare” non abbiano subito “nei dieci anni precedenti la data di presentazione della domanda”, “condanne definitive per delitti non colposi per i quali la legge prevede la pena della reclusione non inferiore a 5 anni, nonchè i reati previsti dall’articolo 380 comma 2 del codice di procedura penale” (https://www.consiglio.provincia.tn.it/doc/IDAP_1293176.pdf).
La norma è incostituzionale da almeno due punti di vista.
Il primo, più evidente, è che uno dei principi dello stato di diritto è che la responsabilità penale è personale e non si può far ricadere sui parenti la colpa del reo. Tradotto: Se mio figlio delinque, io non posso essere penalizzata e non ricevere un alloggio popolare.
Il secondo è che la Costituzione stabilisce che pena detentiva debba tendere alla riabilitazione del condannato il quale, una volta scontata, ha esaurito il suo debito e torna a disporre in pieno dei suoi diritti. Tra i quali, se ha i requisiti di reddito, quello di chiedere un alloggio popolare.
Basterebbe rileggere l’articolo 27.
Le considerazioni giuridiche sono tali e tante, che immagino e spero che la norma non vedrà la luce, se non altro per evitare l’imbarazzo alla nostra Provincia di arrivare fino davanti alla Corte Costituzionale per un ripasso dei principi sui quali si fonda la nostra repubblica.
A interessarmi, piuttosto, è quale ragionamento abbia mosso la produzione di questa legge, di cui il primo firmatario è il presidente della Provincia, Maurizio Fugatti. La consigliera leghista Mara Dalzocchio ha spiegato che “l’articolo può scuotere le coscienze ma va anche a tutela del vicinato, perché c’è il rischio di un uso illecito o immorale degli alloggi”. E poi, “Sui diritti di chi ha commesso reati devono prevalere quelli delle persone oneste”.
Tradotto: chi delinque una volta è delinquente per sempre, e non solo lui ma anche tutta la sua famiglia. E poi: i diritti non sono uguali per tutti e un onesto lo è quando lo decide la Lega, non quando ha scontato la sua pena ed esaurito il suo debito con la società.
La cosa surreale, come hanno bene notato Luca Zeni, Lucia Coppola e Paola Demagri, è che questa norma, nella sua vena superficiale e giustizialista, arriva a creare un paradosso che fa rabbrividire. Nel testo si cita l’articolo 380 del codice penale che prevede, tra i gravi reati, anche i maltrattamenti in famiglia. Di conseguenza, la norma contenuta nel ddl provinciale arriva all’assurdo di togliere la casa alla famiglia che denuncia e ottiene la condanna del coniuge violento.
Basterebbe questo, perché il buon senso imponesse ai firmatari di questa norma un prudente passo indietro.
Questa storia, se ce ne fosse bisogno, insegna anche un’altra cosa: non c’è forma peggiore di populismo di quello giudiziario. Il diritto penale è uno strumento delicato e terribile, come lo è la pena anche quando è giusta. Arreca sofferenza a chi la subisce ma anche a chi la irroga, e c’è poi chi la subisce due volte: le famiglie del condannato.
Proprio a loro la Lega vuole farla pagare ancora, di fatto stabilendo che le case popolari vengono assegnate non a chi ha bisogno sulla base del reddito, ma sulla base del casellario giudiziario proprio e di parenti prossimi.
A chi ragiona così, mi viene da fare una richiesta: entrate in carcere, una volta nella vostra vita. Andate a conoscere le famiglie dei detenuti, che volete considerare cittadini di serie B per una colpa non loro.
Una delle cose che ho imparato più dolorosamente, quando facevo l’avvocato, è che siamo tutti giustizialisti fino a quando la giustizia non bussa alla nostra porta. Allora ti si apre un mondo terribile e l’unica cosa a cui ci si può appigliare sono le garanzie contenute nella Costituzione e i diritti inalienabili che precedono addirittura il nostro essere cittadini: il diritto alla difesa tecnica, il diritto a un giudice terzo e imparziale, il diritto ad essere detenuto solo nei casi previsti dalla legge, il diritto a subire una pena umana e a non essere considerato colpevole sino a condanna definitiva.
Quei diritti che la Lega trentina maldestramente calpesta.
Se la Lega avesse aperto il codice penale prima di scrivere la norma, avrebbe scoperto una cosa: tutte le edizioni dei codici non iniziano con il primo articolo, iniziano con la Costituzione. Come a dire: tutto quanto è contenuto nel codice penale va letto e interpretato alla luce di quei 139 articoli. Vale per tutti, Lega compresa.
L’unica consolazione è che queste norme qualificano chi le ha scritte, più che chi erano destinate a colpire.