Con la legge provinciale n. 1 del 12 febbraio 2019, primo atto legislativo dell’attuale maggioranza, la Giunta approvava la sospensione dell’obbligo delle gestioni associate “in attesa della revisione della legislazione provinciale relativa alla definizione dei rapporti tra i diversi livelli di governo dell'autonomia trentina”, che lo stesso provvedimento legislativo inizialmente imponeva dovesse essere approvata entro 180 giorni. Alessio Manica, "Trentino", 11 novembre 2019
Quel termine è poi stato tolto con un successivo provvedimento legislativo, ed è comparso il limite del primo gennaio 2020, ma della riforma non c’è traccia alcuna, nemmeno qualche dichiarazione a mezzo stampa o un video su facebook. Nel frattempo le anticipazioni sul nuovo protocollo di finanza locale, al netto dei toni trionfalistici che ormai si sprecano più o meno per tutto, lasciano intendere che l’obbligo delle gestioni associate verrà definitivamente abolito. Intervento a questo punto dovuto viste le molte promesse e il limbo di incertezza in cui da mesi sono costrette le Amministrazioni locali dopo la sospensione di febbraio.
Ciò detto una domanda sorge spontanea: e adesso che si fa? Qual è l’impianto generale della riforma del quadro istituzionale trentino che la Giunta intende perseguire, anche con riferimento al bilanciamento dei rapporti tra città e valli? Dopo i molti interventi puntuali di decostruzione dell’impianto precedente, qual’è la proposta di evoluzione del sistema istituzionale trentino? In che disegno complessivo si inserisce l’abolizione delle gestioni associate? Nella scorsa legislatura eravamo perfettamente consci dello stress a cui avremmo sottoposto gli enti locali puntando sulla semplificazione del sistema e sul “fare assieme”, ma eravamo convinti che fosse necessaria una scossa per incentivare processi di efficientamento e un aumento della capacità degli enti – tutti – di produrre servizi pubblici in grado di soddisfare le esigenze dei cittadini trentini, tanto in città quanto nelle valli.
Credo che i molti processi di fusione e la conseguente riduzione del numero dei Comuni abbia rappresentato un passaggio importante, in grado di meglio bilanciare le aspirazioni di rappresentatività delle comunità locali con la richiesta proveniente dalle stesse di procedimenti amministrativi efficienti e servizi pubblici di qualità. Da consigliere provinciale e da cittadino mi piacerebbe molto sentire la Giunta illustrare, anche a grandi linee, che futuro immagina per i Comuni, quale ruolo intenda assegnare alle Comunità di Valle, quale sistema di relazioni immagina tra la Provincia e gli enti locali, quale rapporto intenda instaurare tra città e valli al di là delle ormai trite sparate propagandistiche e di una logica rivendicativa e conflittuale – le valli abbandonate contro la città opulenta, che i dati statistici smentiscono - a mio avviso estremamente pericolosa. Accarezzare il naturale e legittimo desiderio di far da se e al contempo non volere comprendere il ruolo delle Comunità di Valle come luogo – anche politico - appropriato per affrontare le tematiche di sviluppo di territori ampi, collide profondamente a mio avviso con la tanto sbandierata volontà di sostenere lo sviluppo dei territori periferici; perchè depotenziare i luoghi di condivisione e strizzare l’occhio al “fai da te” purché sia, porterà inevitabilmente ad avere interlocutori locali più soli, più piccoli, più divisi, magari incapaci di farsi carico della complessità dei giorni nostri, e dall’altra una Provincia sempre più forte e centralizzante. A meno che, ma spero di no, l’obiettivo non sia proprio questo, magari allo scopo di vedere allungarsi la fila dei Sindaci davanti alla porta del ricevimento del Presidente provinciale e poter spendere qualche amichevole pacca sulla spalla in più. Un rapporto uno ad uno che se potrà dare l’illusoria sensazione della vicinanza, di fatto lascerà i Comuni molto più in balia degli amministratori di turno provinciali.
Riequilibrare il rapporto città-valli deve significare innanzitutto costruire un sistema di rappresentanza e competenze che renda i territori ed i loro rappresentanti più autonomi, più consapevoli e più capaci di determinare i percorsi di sviluppo dei propri enti e dei propri territori. La riflessione non può limitarsi all’annuale confronto per il trasferimento di qualche migliaio di euro in più. La riforma del 2006, pur con tutti i suoi limiti, portava con se l’idea – in linea con quella inaugurata con il primo Piano urbanistico provinciale – di andare oltre la frammentazione e di supportare i territori in uno sviluppo di crescita, coesione ed integrazione, ovviando alla spinta ipertrofica della Provincia. La Giunta Fugatti ha ovviamente tutto il diritto di superare questo impianto, ma prima di andare avanti con la pars destruens è necessario che la maggioranza dica ai trentini in che direzione vuole andare.
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