Michele Nardelli, "Trentino", 14 aprile 2010 Mentre l’economia italiana ed europea fatica ad uscire da una crisi che affonda le proprie radici nei processi di finanziarizzazione (che peraltro non hanno subito sino ad oggi alcuna forma di regolazione), c’è un settore che non sembra invece conoscere ostacoli: è l’industria militare italiana.
Secondo i dati del "Rapporto della Presidenza del Consiglio sull'esportazione di materiali militari" resi noti nei giorni scorsi ammontano a 4,9 miliardi di euro le autorizzazioni all'esportazione di armamenti rilasciate dal Governo nel 2009 alle aziende del settore, con un incremento di ordinativi internazionali del 61%.
Di questo vero e proprio boom delle esportazioni militari italiane sono protagonisti i paesi del Nord Africa e del Medio Oriente verso i quali sono state rilasciate autorizzazioni all'esportazione di armamenti per oltre 1,9 miliardi di euro pari al 39,5% del totale. Tra i maggiori acquirenti spiccano l'Arabia Saudita (1,1 miliardi di euro di commesse, pari al 16,3% del totale), il Qatar (317,2 milioni di euro), gli Emirati Arabi Uniti (175,9 milioni), il Marocco (156,4 milioni) e la Libia (111,8 milioni) per citare solo i principali. Nell'insieme primeggiano le autorizzazioni verso i Paesi del Sud del mondo che totalizzano più di 2,6 miliardi di euro (pari al 53,2%) mentre quelle verso Paesi della Nato-Ue si fermano a 2,3 miliardi di euro pari al 46,8%.
Niente di nuovo sotto il sole, si potrebbe dire, visto che i sistemi d’arma prodotti in Italia hanno sempre trovato acquirenti in ogni parte del pianeta, a cominciare dalle mine antipersona di cui l’Italia ha avuto fino a qualche anno fa il triste primato di produzione ed esportazione.
Come non stupisce che per il secondo anno consecutivo sia scomparsa dal Rapporto la Tabella delle autorizzazioni rilasciate alle banche per le operazioni d'appoggio all'esportazione di armamenti: dal Rapporto si apprende solo l'ammontare complessivo ma nessuna menzione delle banche a cui sono state autorizzate tali operazioni. Secondo quanto viene riportato dal portale “Unimondo”, da sempre sito di riferimento della Rete Italiana per il Disarmo, non ci sono segnali che il Ministero intenda ripristinare il dettagliato elenco delle singole autorizzazioni rilasciate alle banche che dall'entrata in carica del Governo Berlusconi è stato "sostituto" con altri elenchi (per Aziende, per Paesi destinatari, per numero MAE).
In questo quadro desta preoccupazione il cosiddetto "riordino" della normativa nazionale relativa al controllo dell'esportazione di armamenti e cioè della Legge 185/90. Il Rapporto della Presidenza del Consiglio afferma che il "processo di integrazione europeo nel campo della difesa e la progressiva razionalizzazione e ristrutturazione dell’industria europea" avrebbe portato ad un "radicale cambiamento" dello scenario tanto che "il quadro normativo italiano è risultato sempre più inadeguato". Un orientamento che prelude al progressivo smantellamento di una legge (la 185/90) che ha rappresentato un riferimento rigoroso per assicurare un minimo di trasparenza sull'esportazione di armamenti.
In genere si obietta che l’industria bellica italiana rappresenta un segmento importante sotto il profilo occupazionale (complessivamente circa 50 mila addetti), che non può essere messo in discussione in un quadro già segnato da gravi difficoltà. Sarebbe interessante a questo proposito mettere a bilancio quel che tali produzioni provocano sul piano degli effetti concreti, come cause di morte, menomazione permanente, distruzione materiale, inquinamento ed inibizione nell’uso agricolo dei suoli. Come pure i costi della stessa “industria umanitaria”, laddove con una mano si tende ad alleviare quel che con l’altra provochiamo con le nostre produzioni e i nostri commerci, né etici, né solidali. Senza per altro dimenticare che ogni anno in Italia si spendono oltre 20 miliardi di euro in spese militari.
Che mondo è quello in cui la vita delle persone dipende dalla morte di altre? Quello in cui gli stili di vita di una parte dell’umanità vengono dichiarati “non negoziabili” provocando l’esclusione di un pezzo rilevante di quella stessa umanità?
Il record delle esportazioni militari del nostro paese non è diventata una notizia. E, anche sotto questo profilo, c’è di che meditare.
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