Non è facile comprendere i motivi che stanno spingendo la giunta provinciale di Trento ad allentare sempre più, se non addirittura a sciogliere progressivamente, i rapporti politici ed istituzionali con l’omologa giunta provinciale di Bolzano. Inerzia? Incomprensione? Sfiducia? Diffidenza? Ordini di Salvini?Luca Zeni, "Corriere del Trentino", 19 settembre 2019
Qualunque sia il motivo, assistiamo ormai da mesi ad uno sfilacciamento crescente di contatti, frequenze, rapporti e quant’altro. Non è solo questione di diplomazia politica, ma anche di concretezza, quando ci si accorge che Bolzano si organizza autonomamente canali sempre nuovi di comunicazione con Innsbruck e con Monaco di Baviera, piuttosto che con Roma, su temi strategici e di interesse generale come quelli della tutele delle autonomie e dell’asse del Brennero o del dialogo con il nuovo ministro agli Affari regionali.
Nelle scorse settimane, ad esempio, si sono tenuti incontri ufficiali e solo bilaterali con il governo del Land Tirol e, in questi giorni, con la Baviera attorno al nodo del traffico di attraversamento delle Alpi e delle prospettive future dello stesso; incontri dai quali il Trentino appare sempre più escluso.
Ma non solo. Sotto Salorno sembra che le istituzioni dell’autonomia non si accorgano di ciò che sta accadendo se il presidente della Provincia, rispondendo ad una mia interrogazione immediata durante l’ultima seduta del Consiglio provinciale, ha eluso la domanda elencando invece tutti gli incontri trilaterali e i convegni realizzati in passato.
Forse la preoccupazione maggiore della giunta provinciale è oggi quella di tessere nuove trame ed accordi con l’area veneto-friulana e con quella lombarda, entrambe a trazione leghista, per dar vita a progetti ormai anacronistici come quelli della Valdastico, che però compiacerebbero i vertici leghisti delle regioni confinanti, anziché rinsaldare il necessario patto con Bolzano dentro la cornice regionale, ma si tratta di una visione di corto respiro e soprattutto pericolosa per il Trentino che rischia così di ridursi sempre più a periferia decadente di Venezia o Milano.
In questo contesto, Fugatti offre talora l’impressione di non fidarsi di Kompatscher e viceversa, in una reciprocità che lascia preoccupati. Se il primo ha come riferimenti il sovranismo, le concezione primatiste e l’antieuropeismo, il secondo guarda invece alle possibilità di sviluppo ulteriore del proprio territorio dentro la cornice politica ed economica dell’Europa unita, com’è emerso chiaramente anche in occasione della recente «Giornata dell’Autonomia» la cui celebrazione, sottotono e con contorni polemici, la dice lunga sull’attenzione leghista all’autonomia e alle sue potenzialità.
È evidente che i due presidenti provengano da culture profondamente diverse e possiedono punti di vista diametralmente opposti sul presente e sul futuro. Non si tratta ovviamente di questioni personali, bensì politiche ed è per questo motivo che le preoccupazioni che tutto ciò fa sorgere non possono essere estemporanee ed anzi risultano condivise anche dai più attenti osservatori, come testimonia l’acuto fondo di Enrico Franco sul Corriere del Trentino .
Il Trentino del presente vive nella sensazione di aver perso il treno dell’autonomia; di un suo uso virtuoso ed innovatore; di una qualificazione quotidiana della stessa; di una presenza forte sui tavoli delle decisioni importanti, limitandosi ormai ad essere al traino del potenziale lombardo-veneto ed isolandosi in una posizione di retroguardia inutile e dannosa.
Non possiamo non essere politicamente presenti ai confronti strategici e non rivendicare il nostro ruolo di cerniera e ponte culturale, sociale, economico e politico con l’area germanofona, perché è questa la vocazione antica di questa terra e non quella di coppiere al desco padano-veneto. Non è sufficiente una presenza istituzionale — e apparentemente poco convinta peraltro — al cosiddetto «Dreierlandtag» se non si costruiscono, ogni giorno con costanza, sensibilità ed intelligenza, rapporti nuovi con tutto il territorio tirolese, anche immaginando, ad esempio, percorsi di pacificazione nuova e valutando comportamenti diversi dal passato nei riguardi della questione della grazia per i sudtirolesi ancora detenuti in Italia.
Ciò che insomma deve riscoprire il Trentino è la sua «mission» storica e la forza generatrice della sua autonomia, non quale mero strumento del consenso, quanto chiave per aprire le porte del futuro ai nostri giovani che devono poter avere prospettive dentro l’Europa ed i sistemi euroregionali, e non solo nelle realtà postindustriali della Padania.
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