A proposito di autonomia. E di Europa. Ricordate “Braveheart”, il filmone di e con Mel Gibson, che raccontava la storia dell’eroe nazionale scozzese William Wallace? Uscì nel 1995 e negli anni successivi Umberto Bossi ne fece un’icona leghista, a sostegno dell’importazione in Italia di quel processo che Oltremanica chiamavano “devolution”: un trasferimento di competenze ai parlamenti scozzese, gallese e nordirlandese, negoziato nel 1998 dall’allora Primo Ministro britannico, il laburista Tony Blair.
Giorgio Tonini, "Trentino", 9 settembre 2019
Ebbene, venerdì scorso, in un’ampia intervista ad una catena di quotidiani europei, l’attuale Primo Ministro scozzese e leader del partito indipendentista, la signora Nicola Sturgeon, ha ricordato che il 62 per cento degli scozzesi ha votato contro la Brexit e si è detta sicura che se il Regno Unito deciderà effettivamente di uscire dall’Unione europea, la maggioranza degli scozzesi deciderà di uscire dal Regno Unito e di restare invece nell’Ue.
Anche la Lega di Bossi, ai suoi albori, la pensava più o meno così. Era convinta che l’Italia nel suo insieme, a causa del ritardo del Mezzogiorno, non sarebbe mai riuscita ad entrare nell’Unione monetaria e sarebbe stata costretta ad una lunga, umiliante anticamera. A quel punto, nel Nord del paese, che aveva tutti i requisiti per entrare subito nell’euro, si sarebbero create le condizioni della secessione, di quella “indipendenza della Padania” che figurava fino a pochi anni fa nel nome e nel simbolo della Lega Nord e dei suoi gruppi parlamentari.
Fu il governo dell’Ulivo, il governo di Prodi e Veltroni, Ciampi e Napolitano, che scongiurò il pericolo secessionista e salvò l’unità nazionale. Portando l’Italia, tutta l’Italia, da subito, nella moneta unica. E riformando la Costituzione nel senso della “devolution”: con il nuovo Titolo V, del quale fa parte anche il nuovo articolo 116, quello al quale (quasi vent’anni dopo) si sono ora appellate Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna per ottenere maggiore autonomia da Roma.
Da allora, la Lega perse la sua ragione di esistere e si avviò ad un lento declino, all’ombra di Berlusconi. Fino a quando Matteo Salvini non la fece rinascere dalle sue ceneri, ma radicalmente trasformata: non più Lega Nord, ma Lega nazionale; non più in bilico tra federalismo e secessione, ma sintesi di sovranismo nazionalista e antieuropeismo; non più alleata degli indipendentisti (europeisti) scozzesi, ma di Boris Johnson e della sua Brexit.
Non a caso, a Salvini, della riforma federalista chiesta da lombardi, veneti ed emiliani non gliene è mai importato granché. Se l’avesse considerata centrale nella sua strategia, avrebbe preso per sé quel ministero e su questo dossier avrebbe costretto i Cinquestelle a seguirlo. E invece ha preferito il Viminale, il ministero centralista per antonomasia, per cavalcare insicurezze e paure e alimentare l’onda antieuropeista e sovranista. E ha voluto e ottenuto dai grillini il sofferto via libera agli unici provvedimenti che gli siano veramente interessati: i decreti sicurezza.
Il problema è che, come ha detto con pacata franchezza, alle celebrazioni per la festa dell’autonomia, Arno Kompatscher, e come dimostra l’intervista della leader degli indipendentisti scozzesi, sovranismo e antieuropeismo sono incompatibili con federalismo e autonomia. La Lega di Salvini, tornata all’opposizione, dovrà quindi decidere se vuole più federalismo e più autonomia in un quadro europeo, o se invece preferisce persistere nell’attacco all’Europa insieme alla signora Le Pen e ai suoi inquietanti alleati sovranisti e nazionalisti. Una strada, quest’ultima, che l’ha gonfiata di consensi (vedremo quanto duraturi), ma l’ha anche cacciata in un vicolo cieco, prima in Europa e poi anche in Italia. Vedremo anche come si schiereranno, in questa inevitabile discussione, i governatori leghisti del Nord. Compreso quello del Trentino, che non potrà a lungo tenere aperta la contraddizione sulla quale si fonda l’accordo di governo con la Svp.
Naturalmente, vale anche il rovescio. Il nuovo governo nazionale, frutto dell’incontro, nel segno dell’Europa, tra il populismo dei Cinquestelle e il riformismo del Pd, dovrà mostrarsi consapevole della lezione degasperiana, per la quale europeismo e autonomismo sono due facce indissolubili della stessa medaglia. Altrimenti anch’esso finirà per cadere sotto il peso delle sue contraddizioni.