Intervengo volentieri nell’interessante dibattito aperto dal bell’intervento del Direttore Paolo Mantovan sulla difficoltà, o presunta tale, di acquisire rilevanza politica da parte delle forze autonomiste in Trentino, in particolare in questo delicato momento storico in cui pare essere addirittura in discussione la sopravvivenza stessa dell’Autonomia speciale, almeno nelle forme nelle quali l’abbiamo conosciuta nel Novecento.
Giuliano Muzio, "Trentino", 6 settembre 2019
Non vorrei cominciare dal fondo, ma parto col dire che il mio punto di vista è diametralmente opposto a quello di Carlo Andreotti, che ci ricorda che “se si vuole salvare il mondo autonomista […] occorre […] recuperare un’azione politica forte basata su solide fondamenta identitarie”. Io vedo invece la rinascita di un forte movimento autonomista in una sua versione per così dire “moderna”, che fa perno sul concetto di “territorio”, come spazio abitato da una comunità locale capace di autogoverno. Comunità che vuole essere protagonista e che con le sue scelte “autonome” informa comunità più ampie e su base federata costruisce una democrazia che rispetta le vocazioni locali. Significa sposare un modello federale, basato non tanto sul recupero di identità ancorate nella storia e nel passato (che sono comunque da rispettare), ma sulla volontà dei territori di far veramente contare le loro specificità e la loro capacità di governare con il massimo dell’autonomia possibile i loro destini. In altre parole, si tratta di applicare fino in fondo e senza ambiguità il principio di sussidiarietà.
Quello infatti che mi pare ormai poco moderno in un modello fortemente identitario è il suo corollario di chiusura per difendere la propria specificità, che se è stato vincente in altre epoche storiche, in un mondo globalizzato dove i flussi di merci, capitali, persone e culture sono inarrestabili, non riesce fino in fondo a integrare punti di vista che non appartengono all’ “identità storica”, unica sovrana (non uso a caso questo vocabolo). A meno che non si pensi che l’orizzonte che ci attende è quello di nazioni/regioni fortemente identitarie in guerra tra loro per la supremazia economica, a colpi di dazi e confini quando va bene, con le armi, se non siamo fortunati. Vorrei quindi giustapporre all’idea di un autonomismo per così dire “sovranista”, quella di un autonomismo che chiamerei “federalista”, nel quale trova spazio il riconoscimento di forme di autogoverno anche per le altre regioni italiane (vedi autonomia differenziata), in un quadro appunto federalista (detto per inciso, l’assenza totale di dibattito in Trentino sull’autonomia differenziata, fatta eccezione per un bell’intervento di Nicola Fioretti qualche settimana fa, mi pare un chiaro segnale che Paolo Mantovan nel suo articolo ha ragione). Dove magari trova spazio anche una riforma istituzionale complessiva, della quale il nostro paese, sempre pronto a dire no, ma più di rado capace di fare proposte, ha bisogno come il pane dopo il flop del 4 dicembre 2016.
Per non rimanere troppo astratto, citerei (in modo forse un po’ immodesto, ma mi auguro chiarificatore) la mia vicenda personale. Da piemontese chiamato in Trentino per contribuire al sistema della ricerca di questo territorio (grazie a politiche precise, che non nascono per caso, ma sono il frutto di una programmazione dedicata che oggi mi pare un po’ in crisi), perché non dovrei avere a cuore l’Autonomia del Trentino? Eppure se si fa appello alle radici identitarie io non ho nulla della storia di queste terre, anzi. I miei riferimenti storico culturali sono sicuramente più napoleonici che asburgici. E la mia identità politica si è costruita più nelle lotte operaie delle fabbriche torinesi, che non nelle battaglie autonomiste dell’ASAR. Tuttavia, se ho a cuore il destino della mia (mia fino in fondo) comunità non posso sottrarmi alle vicende del territorio che mi ha accolto (magnificamente peraltro). Perché non fare leva sulla straordinaria capacità di questa terra di accogliere, piuttosto che concentrarsi sulle rivendicazioni identitarie. Questo ovviamente nel più grande e sincero rispetto delle tradizioni e della storia del popolo trentino.
Se vogliamo quindi rilanciare il pensiero autonomistico nella politica e nella cultura del Trentino, creiamone una versione moderna, aperta e capace anche di andare oltre le incrostazioni ideologiche del Novecento (sia pure in un quadro valoriale chiaro e privo di ambiguità). Facciamo in modo che questa impronta culturale si traduca in richieste politiche precise: un maggiore riequilibrio nel peso decisionale tra centro e periferia a vantaggio delle comunità che rischiano di avere una deriva che le marginalizza (su questo il centro sinistra autonomista trentino ha fatto poco e ha finito per consegnare alla Lega la bandiera del protagonismo dei territori), una revisione della riforma istituzionale che dopo le modifiche del 2011 è oggi priva di una quadro organico di riferimento e, perché no, partendo dall’orgoglio della nostra Autonomia speciale, candidiamoci a fornire un modello anche per il nostro Paese e per l’Europa. Questo mi pare il modo corretto per valorizzare l’orgoglio delle tradizioni di questa terra, la cui laboriosità, generosità e cultura è riconosciuta ovunque. Terra nella quale, da piemontese francofilo, sono contento oggi di far crescere i miei figli.