Centrosinistra e giochi di palazzo? La verità oltre la propaganda

Nella apprezzata rubrica delle lettere, il signor Giannantonio Radice, che non conosco, ma della cui buona fede non ho motivo di dubitare, ripropone ai lettori uno dei motivi principali della propaganda del centrodestra italiano, secondo la quale il centrosinistra sarebbe andato più volte al governo stravolgendo, con abili giochi di palazzo, il voto degli italiani. 
Giorgio Tonini, 3 settembre 2019


Non potendo citare né il 1996, né il 2006, quando l'Ulivo e poi l'Unione di centrosinistra vinsero le elezioni con Romano Prodi, la propaganda del centrodestra porta ad esempio il governo Monti e quelli successivi, Letta e Renzi, fino a Gentiloni. 
Una narrazione efficace, ma lacunosa e reticente, in quanto omette di ricordare alcuni particolari non proprio irrilevanti.
Il governo Monti nacque nell'autunno del 2011, nel pieno della più grave crisi finanziaria ed economica dal dopoguerra ad oggi.Per far fronte a quella crisi, che rischiava di portare il paese al default e alla uscita dall'euro, il presidente uscente della Bce, il francese Trichet, e il governatore della Banca d'Italia (e presidente designato dell'istituto di Francoforte, per iniziativa convergente e vincente di Berlusconi e Napolitano), Mario Draghi, scrissero una lettera nella quale raccomandavano al governo italiano l'assunzione di alcune misure per riportare sotto controllo i conti pubblici, a cominciare da quelli della previdenza.  Il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, accolse quelle raccomandazioni, ma non riuscì ad imporle al suo principale alleato, la Lega allora guidata da Umberto Bossi, che esibì in favore di telecamere il suo celebre dito medio. Cadde così il governo Berlusconi, per una rottura della maggioranza che lo sosteneva. Mancava un anno e mezzo alla fine della legislatura e tutti i sondaggi davano vincente il Pd di Bersani, che aveva vinto del resto tutte le elezioni amministrative e le regionali del 2010. In considerazione della drammaticità della crisi, sia Berlusconi che Bersani accettarono la proposta di Napolitano di dar vita al Governo presieduto da Mario Monti, ex commissario europeo nominato in quel ruolo sempre da Berlusconi. Un governo che non sarebbe mai potuto nascere, né tanto meno avrebbe mai potuto far approvare in parlamento le sue impopolarissime riforme, senza la ripetuta fiducia da parte del partito allora di maggioranza relativa (il PdL di Berlusconi), alla quale si aggiunsero i voti determinanti del Pd, che rinunciò a chiedere le elezioni anticipate che secondo tutti gli osservatori lo avrebbero visto vincente.

Altro dettaglio omesso dalla propaganda di centrodestra, riproposta dal signor Radice: tra il governo Monti e il governo Letta ci sono state in mezzo le elezioni politiche, con la vittoria del centrosinistra, che (grazie al sistema elettorale definito "Porcellum" dal suo ideatore, il leghista Calderoli) aveva conquistato una solida maggioranza alla Camera, ma non al Senato. Si rese così necessaria una nuova intesa tra Bersani e Berlusconi, che portò alla rielezione di Napolitano al Quirinale e al governo Letta-Alfano. Un governo definito dei "due vice", sostenuto da entrambi i maggiori partiti, fino alla decadenza di Berlusconi a seguito della condanna per frode fiscale, al suo conseguente ritiro della fiducia al governo e alla scissione del PdL, con la componente di Alfano che mantenne il suo sostegno al governo Letta e poi lo assicurò a quelli presieduti da Renzi e da Gentiloni. Dunque non c'è mai stato nessuno stravolgimento del voto degli italiani, ci sono state le evoluzioni e anche le convulsioni di una democrazia che già Aldo Moro definiva "difficile", a causa di un sistema politico-istituzionale segnato da una permanente instabilità.

Questa situazione si è perpetuata in questa legislatura: anche a causa della bocciatura, da parte del popolo sovrano e non dei tecnocrati di Bruxelles, della riforma costituzionale che ci avrebbe dato un vincitore certo e quindi un governo legittimato direttamente dal voto. Dalle urne (solo un anno e mezzo fa) è emerso un quadro clamoroso: il M5S primo partito, quasi doppiando il secondo, cioè il Pd; e nel centrodestra la Lega di Salvini (terzo partito) che conquista la leadership, umiliando Berlusconi e Forza Italia. Nessuno tuttavia è risultato in grado da solo di formare un governo. Sulla carta c'erano due strade possibili, entrambe legittime: un governo "dei due populismi", M5S-Lega; oppure un governo "di mediazione tra populisti e riformisti", M5S-Pd. La soluzione giallo-verde era la più semplice e infatti è quella che è stata scelta. Ma era facile prevedere che l'estremismo del "contratto", frutto della somma dei due populismi, avrebbe finito per infrangersi contro il principio di realtà.

Il fallimento è stato certificato dagli stessi protagonisti del governo giallo-verde: prima Salvini, con la mozione di sfiducia a Conte, poi Conte con la durissima requisitoria contro Salvini e infine il M5S che ha indicato Conte per l'incarico di formare un nuovo governo, col Pd e non più con la Lega. In effetti, il contratto dei due populismi era incompatibile con la permanenza dell'Italia nell'euro, in Europa e nella stessa Alleanza atlantica. 
Le elezioni europee hanno reso questa contraddizione evidente. La Lega Salvini primo partito in Italia, ma isolata in Europa. E proprio sull'Europa si è consumata la rottura tra i due partner di governo: i grillini, al contrario dei leghisti, hanno votato insieme al Pd (e a Forza Italia) per Ursula von der Leyen alla presidenza della Commissione europea. 

Dinanzi a questa nuova situazione, si dice, si deve tornare al voto. Ma il governo Conte 1 non era legittimato dal voto, tanto quanto non lo sarebbe un governo Conte 2. Il governo "legittimato dal voto" non è stato voluto dal popolo, che col referendum che ha bocciato la riforma Renzi, ha solennemente dichiarato di preferire un sistema parlamentare, per di più bicamerale. E in un sistema parlamentare, le elezioni anticipate sono sempre possibili, ma la decisione dello scioglimento delle Camere è una prerogativa che la Costituzione vigente, confermata dal popolo sovrano, attribuisce in via esclusiva al presidente della Repubblica e che egli può e deve esercitare solo qualora il parlamento non sia in grado di formare un nuovo governo.
Prima di sciogliere le Camere, va dunque esplorata l'altra possibilità politica compatibile con la composizione numerica del parlamento: quella del governo di mediazione tra populisti e riformisti, una possibilità rafforzata dal voto convergente a Strasburgo di M5S e Pd sulla von der Leyen.

Personalmente guardo con interesse e favore a questa ipotesi, perché può rappresentare la sintesi virtuosa tra l'affidabilità governativa del Pd e la capacità di rappresentanza del disagio sociale e civico da parte del M5S. A condizione che si riesca a dar vita ad una mediazione alta e ambiziosa e non ad un accordo al ribasso.
Ma nessuno può negare che si tratti di un'impresa difficile e rischiosa. Alla quale, ovviamente, è del tutto legittimo opporsi, anche scendendo in piazza, come hanno già detto che intendono fare Salvini e Meloni. Legittima l'opposizione, tanto quanto legittimo il governo, se ci sarà: perché così avrà deciso, con il voto più importante che abbia luogo nelle Camere, il parlamento eletto dal popolo sovrano.