La sintesi politica dell’accordo, resa sull’uscio del Quirinale durante le consultazioni, pennella le cromie di un nuovo governo giallorosso che nelle sue componenti inedite — Partito democratico e Movimento cinque stelle — riassegna fiducia al presidente del consiglio uscente: Giuseppe Conte.M. Damaggio, "Corriere del Trentino", 29 agosto 2019
Le cronache di una crisi di governo traguardata non si fermano tuttavia alle porte della capitale ed estendono altrove la gittata di un’alleanza ai suoi primi vagiti. Dunque un piano per disarcionare il Movimento 5 stelle «dall’abbraccio delle destre», come ha spiegato il segretario del Pd Nicola Zingaretti nella sua relazione alla direzione dem, esportando l’alleanza alle elezioni regionali. Una strategia che si potrebbe applicare alle Amministrative del 2020 in Trentino? Il capogruppo del Movimento cinque stelle, Filippo Degasperi non lo esclude affatto. «Perché no? Dopo che è stata sdoganata qualsiasi alleanza, a destra e a sinistra, come potrebbero chiederci ortodossia nei territori?».
Di più: il consigliere ricorda il tentativo ambizioso che s’è sperimentato nel consiglio circoscrizionale di Gardolo nel 2016, un’era geologica fa per i militanti pentastellati. «In quell’occasione — ricorda — sfruttando l’adieu dalla maggioranza di un consigliere, s’era concretizzata l’occasione di formare un’alleanza con le altre forze in minoranza, affidando la presidenza dell’assemblea a un esponente del Movimento». Ma il tentativo di costruire una nuova forza di governo a più voci — non solo targata 5 stelle — fece scalpore. «Tutto è stato bloccato e siamo stati persino ripresi aspramente — dice — Invece, evidentemente, eravamo avanti e abbiamo applicato quello che oggi sperimenta il capo-politico a tre anni di distanza».
Per la verità, Degasperi non ha mai apprezzato il tono solitario. «L’ho sempre detto: non si può escludere tutti; ora sarebbe bello che qualcuno lo riconoscesse». Quanto all’ipotesi di verificare alleanze con i dem alle comunali, il capogruppo M5S segue il ritmo della logica: «Perché no? Sarebbe surreale ricevere lezioni di ortodossia». Degasperi fa poi un appello: «Io non ho mai accusato nessuno sul piano personale, ma a chi ha costruito una carriera politica attaccando il Pd con epiteti del tipo “pidioti”, “Partito di Bibbiano” e slogan su Banca Etruria e Boschi, ecco a loro direi che è il momento di farsi da parte e togliere il disturbo».
Più cauto sulla riproposizione dello schema romano di alleanza, invece, il capogruppo dem in consiglio provinciale. Giorgio Tonini ammette che «se si vuole dare alla collaborazione una prospettiva strategica è naturale si agisca su più livelli». Dopodiché invoca cautela: «Difficile imporre una camicia di forza, esistono le autonomie». L’accordo in sé è un boccone amaro e Tonini non lo nega. «Nè Pd né M5S si accingono al passaggio a cuor leggero — dice — Ma le alternative erano peggiori: precipitare al voto in un clima di caos, tirando la volata a Salvini, oppure tornare al governo precedente, soluzione esclusa dallo stesso Conte».
E se la direzione del Partito democratico ieri ha sbloccato le trattative con Luigi Di Maio togliendo il veto sulla riconferma di Conte, il percorso per Tonini non va considerato concluso del tutto. «La vera sfida, ora, è il programma — spiega — Dobbiamo spostarci sui contenuti e, in particolare sulla politica economica». Tonini elenca le priorità: «Sminare la clausola sull’aumento dell’Iva, quindi trovare 23 miliardi». Un tesoretto non impossibile: «La scarsa adesione a reddito di cittadinanza e Quota 100 hanno lasciato qualche risparmio — spiega — A ciò si aggiunge il gettito prodotto dalle novità della fatturazione elettronica, tra l’altro introdotta dal centrosinistra». Poi il capogruppo dem cita un’altra misura: la riduzione del cuneo fiscale («Un segnale per le imprese e per i lavoratori»).
Temi, questi, che hanno segnato la campagna elettorale di Carlo Calenda ai tempi delle recenti elezioni europee (era capolista nel Nordest). Ma proprio ieri a fronte dell’accordo con il M5S, l’ex ministro ha restituito la tessera e rimesso il mandato nella direzione Pd. Una mossa prodromica alla fondazione del suo movimento a cui potrebbero aderire altri nomi dem. Per fare un solo esempio: Mario Raffaelli, già deputato e oggi iscritto al Pd, non ha fatto mistero della sua vicinanza a Calenda. Ma qui Tonini non sembra preoccupato: «Queste uscite estreme non mi convincono — dice — Calenda è importante per il Pd quanto il Pd è importante per Calenda: chi è uscito dal partito — Bersani, Grasso, D’Alema per citarne qualcuno — non ha avuto fortuna». Touché .
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