La frattura politica fra i due partiti che ancora hanno la responsabilità dell'attuale governo sembra allargarsi ogni giorno, obbligandoci a riflettere con maggiore urgenza sui possibili esiti dell'attuale crisi.
Romano Prodi, "Il Messaggero", 18 agosto 2019
La prima osservazione riguarda il fatto che anche se il ritorno alle urne non è di per se stesso una patologia, deve essere considerato un'ultima ratio, essendo il Parlamento chiamato a durare per l'intera legislatura. È vero che, con il prevalere dei governi di coalizione, le crisi sono sempre più frequenti in tutti i Paesi, ma la fine prematura della legislatura è il riconoscimento di un fallimento, una ferita inferta alla vita democratica. Bisogna quindi fare il possibile per evitare tale evento.
Questo sforzo deve essere ripetuto anche nell'attuale situazione del Paese: naturalmente in modo trasparente, nel rispetto delle forme istituzionali previste e non ad ogni costo. Bisogna perciò partire dalle ragioni che hanno portato al declino del governo attuale e preparare le basi di una maggioranza costruita attorno a un progetto di lunga durata, sottoscritto in modo preciso da tutti i componenti della coalizione. È un compito difficilissimo ma non impossibile. Un esercizio di questo tipo, come ho già più volte messo in rilievo nei giorni scorsi, è stato messo in atto in Germania.
È vero che il confronto fra democristiani e socialisti muoveva da passate esperienze comuni, ma le differenze fra loro erano state raramente così radicali come nell'ultima campagna elettorale. Eppure è stato formato un governo che, anche nelle difficoltà dell'attuale congiuntura, riesce ad avere una condivisa linea di condotta. Ciò è stato possibile grazie a una lunga trattativa, nella quale sono stati definiti non solo gli orientamenti politici ma anche le priorità delle decisioni e i numeri degli impegni finanziari necessari per metterle in atto. Un accordo completo, rigoroso ed analitico. Si dirà che l'Italia non è la Germania, ma la necessità di un tentativo di questo tipo è maggiore a Roma che a Berlino perché non solo noi, ma tutti i nostri amici stranieri, si stanno chiedendo cosa faremo in futuro.
Poiché le tensioni nel governo per ora in carica sono divenute ingestibili solo dopo la divisione fra Lega e 5Stelle sul voto europeo, è chiaro che l'accordo deve prima di tutto fondarsi sul reinserimento dell'Italia come membro attivo dell'Unione europea. Forse bisognerebbe battezzare questa necessaria coalizione filo europea Orsola, cioè la versione italiana del nome della nuova presidente della Commissione europea. Non so se si possa chiamare una coalizione con un gentile nome femminile ma credo che, in questo caso, il gesto avrebbe un preciso significato politico.
In secondo luogo deve essere un accordo duraturo: non per un tempo limitato ma nella prospettiva dell'intera legislatura. Perché questo sia credibile è innanzitutto necessario che contenga, in modo preciso e analitico, i provvedimenti e i numeri della prossima legge finanziaria. Quindi l'impegno deve essere per il lungo periodo e la garanzia che quest'impegno venga rispettato può arrivare solo dall'approvazione dettagliata, rigorosa e perfino pedante, delle misure da prendere già a partire dalla prossima Legge finanziaria che, secondo Salvini, avrebbe dovuto segnare la rottura con i nostri partner europei.
In terzo luogo le condizioni del Paese obbligano all'adozione di politiche dedicate in modo organico a due fondamentali obiettivi: la riorganizzazione degli strumenti necessari per la ripresa economica e la messa in atto di una politica socialmente avanzata. Al perseguimento dei diritti civili bisogna infatti accompagnare, con più vigore di quanto avvenuto in passato, uno sforzo per il rafforzamento dei diritti sociali, partendo dalla lotta alle disuguaglianze, dalla difesa del welfare e da una nuova attenzione per la scuola e la sanità, messe pericolosamente a rischio dalla politica degli ultimi anni. Gli italiani non sono angosciati solo dalle migrazioni (in entrata e in uscita) e il problema deve essere riesaminato insieme ai partner europei sia per l'aspetto dell'accoglienza sia per quello dell'inserimento. Tutti noi abbiamo anche una crescente paura di essere sempre meno garantiti nel campo della scuola e in quello della sanità. Tutte queste paure sommate assieme stanno disgregando l'Italia.
Non sarà certo facile trovare l'unità necessaria per definire questo programma fra partiti che si sono tra di loro azzuffati per l'intera durata del governo e che hanno perfino un diverso concetto del ruolo delle istituzioni nella vita del Paese. La definizione di una linea comune al loro interno deve quindi accompagnare (e forse precedere) l'accordo di governo. In genere, in questi casi, si deve pensare a qualcosa che possa perlomeno potersi paragonare a un congresso di partito. Non ho la minima idea di come possa svolgersi un congresso dei 5Stelle perché sono cresciuto con la convinzione che per confrontarsi sia necessario almeno guardarsi in faccia, ma ho un'idea ben chiara sulla necessità di aprire un dibattito nell'ambito del Partito Democratico così che la posizione prevalente possa portare avanti in modo credibile e fermo le decisioni prese, senza che esse vengano continuamente messe in discussione anche ponendo sul tavolo ipotesi di scissione. Un dibattito ancora più necessario per preparare una posizione unitaria sul grande problema delle autonomie che non possono essere lasciate all'iniziativa di alcune Regioni ma che debbono coinvolgere prima gli italiani e necessariamente tutti gli italiani come veri protagonisti.
Mi sto accorgendo infatti che questa incomprensibile crisi, insieme a tutte le preoccupazioni e le paure che suscita, sta risvegliando in tutto il Paese un'attenzione alla politica che sembrava ormai appartenere al passato.