L'autonomia trentina e le "autonomie differenziate"

Le regioni Emilia Romagna, Lombardia e Veneto chiedono maggiori competenze a Roma, in un quadro di "autonomie differenziate". Risulta impossibile ignorare come questa partita risulti essere centrale non solo per il futuro di tutto il Paese, ma anche per il Trentino e la sua Provincia Autonoma.
Alessandro Dal Ri, 13 agosto 2019

In primo luogo perché l'esempio del Trentino, insieme a quello dell'Alto Adige, rappresenta un modello virtuoso di come un autogoverno responsabile, messo in atto attraverso una gestione più vicina al territorio e al controllo dei cittadini, possa portare sviluppo, buone pratiche e maggiore efficienza rispetto ad un modello centralista. Ho sempre trovato inspiegabile come in Italia non sia mai stata posta una lente d'ingrandimento importante sulla nostra regione, e che nessun partito nazionale abbia provato ad animare un dibattito pubblico nazionale su che cosa abbia effettivamente funzionato qui da noi.

In particolare nel centrosinistra non si è mai preso atto seriamente del fallimento sostanziale sia del centralismo romano che del regionalismo che abbiamo conosciuto negli ultimi decenni. Ecco che questo dibattito intorno alle legittime richieste delle più produttive regioni del paese di ottenere maggiori competenze può diventare occasione di riflessione per tutti. L'Italia è di fatto formata da tante "piccole Italie", ricche di peculiarità, molto diverse tra loro per orografia, economia, demografia, cultura e troppo spesso non amministrate adeguatamente. Avvicinare amministrazione a territorio e cittadini può permettere di cucire politiche su misura più adeguate a singole realtà così differenti tra loro, oltre che a creare un nesso più facilmente riconoscibile e controllabile dal cittadino su quella che è davvero l'efficienza di governo. Con questi scopi chiari in testa e senza volere mettere in discussione il principio di solidarietà nazionale tra regioni, questo passaggio delle competenze può essere oggi una soluzione di prospettiva per tutto il sistema Italia, se implementato attraverso un processo graduale e adeguatamente monitorato.

In quest'ottica la nostra Provincia Autonoma può essere utilizzata come "scuola" della gestione autonoma di competenze, grazie alla quale sarebbe possibile per altre regioni formare i nuovi dirigenti, imparare quali errori non commettere e quali pratiche invece esportare e replicare. Questo per efficientare e velocizzare il processo di passaggio di queste competenze dallo stato alle regioni, processo che dovrà comunque essere lungo, ragionato e fatto per gradi.

Questo riflettore puntato sul tema delle "autonomie differenziate" deve inoltre essere l'occasione per risvegliare, in Trentino, quel dibattito e quell'attenzione attorno alla nostra Autonomia che sembra essere data pericolosamente per scontata da troppi oggi.

Nei giorni in cui per la prima volta il principale partito di governo provinciale, la Lega, fatica a fare sentire una sua voce autonoma, sia rispetto al partito centrale romano che rispetto ai governatori delle regioni vicine, si rende necessario un rinnovato impegno per fare riscoprire ai trentini l'importanza del nostro vivere autonomo e ragionare su come invece fare altri passi avanti. Su due fronti: quello interno e quello esterno. Se, da una parte, va ancora trovato il giusto equilibrio in un sistema trentino dove l'ente provinciale è ancora troppo accentratore ed in cui le "comunità montane" prima, i "comprensori" poi, e le "comunità di valle" oggi, hanno fatto e fanno fatica a svolgere il loro ruolo di contrappeso, dall'altra vi è ancora spazio per aprire un tavolo con Roma con l'obiettivo di ottenere ulteriori competenze da gestire localmente. Una su tutte: quella in materia fiscale.