In un tempo in cui parole come "dovere", "responsabilità", "approfondimento" sembrano merce rara, è doveroso ricordare coloro che hanno dato un senso concreto a simili parole, pagando prezzi altissimi, come l'avvocato Giorgio Ambrosoli, ucciso l'11 luglio di 40 anni fa.
Luca Zeni, 11 luglio 2019
Professionista di salda cultura giuridica e di formazione profondamente cattolica e moderata, Ambrosoli è un esempio straordinario ed attualissimo di esercizio coerente e responsabile del dovere di cittadinanza e di servizio allo Stato. Per tali ragioni la sua figura integerrima dev'essere ricordata con la costanza con la quale si celebrano coloro che hanno donato qualcosa di prezioso al Paese e quindi a tutti noi.
Specializzatosi nel delicato settore fallimentare e delle liquidazioni coatte amministrative, ben presto viene chiamato a collaborare con la Società Finanziaria Italiana. Nel settembre del 1974 il Governatore della banca d'Italia Guido Carli lo nomina commissario liquidatore della Banca Privata Italiana, fino ad allora guidata dal finanziare siciliano Michele Sindona e giunta ormai sull'orlo del collasso economico. Quella banca si è retta per anni sull'intreccio fra politica, alta finanza, massoneria deviata e criminalità organizzata: Ambrosoli si addentra, con coraggio e competenza, nel groviglio delle attività di Sindona e nelle trame occulte delle articolate operazioni finanziarie tessute attraverso diverse società, fra le quali spicca la "Fasco AG".
Ambrosoli scopre rapidamente una massa di gravissime irregolarità delle quali la Banca si è resa responsabile, anche per conto del gruppo societario che ad essa fa riferimento, nonché le false scritture contabili redatte per coprire ammanchi e connivenze fra l'opaca realtà guidata da Sindona e parti non secondarie dello Stato.
Pressioni, tentativi di corruzione, intimidazioni e quant'altro può servire a far desistere Ambrosoli dal suo lavoro vengono messe in atto in una sequenza crescente, per ottenere soprattutto l'avvallo circa la buona fede di Sindona e quindi l'intervento sanatorio della Banca d'Italia rispetto agli "scoperti" ingenti dell'istituto di credito del banchiere siciliano, evitando, al contempo, ogni coinvolgimento di quest'ultimo sia sul piano della giustizia civile come di quella penale.
Consapevole del rischiosa partita che sta giocando, Ambrosoli non cede. Non ne fa una questione politica, ma di deontologia professionale e di serietà nel servizio alla Repubblica, tanto che così egli scrive alla moglie nel 1975: «(...) Ricordi i giorni dell'U.M.I., le speranze mai realizzate di far politica per il Paese e non per i Partiti: ebbene a quarant'anni, di colpo, ho fatto politica e in nome dello Stato e non per un Partito. Con l'incarico, ho avuto in mano un potere enorme e discrezionale al massimo ed ho operato - ne ho la piena coscienza - solo nell'interesse del Paese (...)». E poi ancora e quasi preveggendo il futuro, Ambrosoli scrive: «(...) Qualunque cosa succeda, comunque, Tu sai che cosa devi fare e sono certo saprai fare benissimo. Dovrai Tu allevare i ragazzi e crescerli nel rispetto di quei valori nei quali noi abbiamo creduto (...) Abbiano coscienza dei loro doveri verso sé stessi, verso la famiglia nel senso trascendente che io ho verso il Paese, si chiami Italia o si chiami Europa». Parole che fanno rabbrividire, tanto alto era il senso del dovere nello svolgimento della propria professione e la consapevolezza delle possibili conseguenze.
Nel corso delle sue analisi, Ambrosoli scopre le forti responsabilità di Sindona in un'altra banca, l'americana «Franklin National Bank», le cui condizioni sono ancora più precarie. L'indagine coinvolge, a questo punto, non solo la Magistratura italiana ma anche gli inquirenti statunitensi, procurando all'avvocato milanese minacce esplicite. Da quel momento in poi è un crescendo di intimidazioni, di telefonate anonime, di messaggi chiari per spingere Ambrosoli a ritrattare, a ritirarsi, a mutare obiettivo ed orientamento alle sue indagini, ma è tutto inutile. Quell'uomo semplice e retto è saldo nelle sue convinzioni e nell'idea di servire veramente lo Stato e non demorde, fissando la data del 12 luglio 1979 come quella di conclusione formale del suo lavoro e di sottoscrizione di una dichiarazione finale ed ufficiale.
La sera prima di quel giorno, dopo una serata trascorsa con amici, Ambrosoli rientra a casa e nel portone incrocia un uomo che si scusa con lui e gli spara quattro proiettili che lo uccidono sul colpo.
Lasciato solo dallo Stato, Ambrosoli muore in nome della sua lealtà, della sua forza e del suo bisogno di giustizia, un bisogno profondo ed intimo che diviene negli anni un valore universale ed il lascito migliore di quest'avvocato che, pagando il più alto prezzo possibile, ha onorato la toga ed il suo Paese.
In una società nella quale rischiano di prevalere egoismo e rivendicazione, è anche attraverso la testimonianza di persone come Ambrosoli che possiamo trovare un importante orientamento personale e collettivo: quello di riscoprire l'alto valore dello svolgere ogni giorno al meglio la nostra vita familiare e professionale.