TRENTO Lo sguardo si sofferma subito sull’aspetto sociale. Per inclinazione professionale. Ma anche perché è lì, secondo Alberto Pacher, che la politica può — e deve — trovare le chiavi di lettura di un futuro segnato da tante incertezze. Anche in una città come Trento. È quell’«indebolimento del senso di appartenenza» che deve richiamare l’attenzione.
M. Giovannini, "Corriere del Trentino", 2 luglio 2019
E che deve spingere «a un rafforzamento dei motivi di coesione sociale». Da osservatore ormai esterno alla dinamica di Palazzo Thun, l’ex sindaco del capoluogo (Pacher ha guidato l’amministrazione comunale dal 1998 al 2008) indica le sfide che impegneranno i prossimi primi cittadini. «Dribblando» le domande sul dibattito interno al centrosinistra per la scelta del candidato sindaco. Ma fissando le priorità. Non solo sociali: «La grande sfida del futuro sarà la sostenibilità».
Domani sera, dunque, si ritroverà accanto ad Alessandro Andreatta e Lorenzo Dellai per disegnare la Trento degli ultimi trent’anni. Quanto è cambiato il capoluogo in questi anni?
«Trento ha subito forti cambiamenti nel tessuto sociale. Noi eravamo partiti seguendo una logica di moltiplicazione delle centralità. Si trattava, allora, di una risposta a un bisogno sociale e comunitario: c’era l’esigenza di dotare ogni sobborgo, ogni periferia, di servizi, di infrastrutture, di spazi di aggregazione. Un’esigenza che è stata portata avanti e per la quale si è fatto molto. Tanto che oggi mi pare di poter dire che gran parte della città, in questo senso, ha a disposizione un sistema di infrastrutture adeguato: dagli asili ai luoghi di aggregazione, i sobborghi hanno avuto risposta. Abbiamo agito anche sulla spinta di processi partecipativi importanti: penso a quello relativo al Prg. Nel frattempo, molte voci della città si sono rinforzate, contribuendo a cambiare il volto del capoluogo».
Può fare qualche esempio?
«Penso all’attrattività turistica. Trent’anni fa si trattava di un dato residuale per Trento. Di fatto, la città accoglieva turisti solo quando, per il maltempo, chi soggiornava nelle valli decideva di visitare il capoluogo. Oggi, invece, è un elemento consolidato. Come lo è la presenza universitaria. C’è però un altro aspetto da rilevare».
Quale?
«Oggi anche Trento risente, dal punto di vista della coesione sociale, di quanto avviene a livello generale, ossia dell’indebolimento del senso di appartenenza, che si riscontra su tutti i registri sociali. Una tendenza, questa, che porta all’indebolimento di tutti i fattori leganti. Anche in una città come Trento. Ecco: io credo che oggi questo sia uno dei temi più importanti. Credo che sia fondamentale rafforzare i motivi di coesione sociale. Questa è la sfida strategica dal punto di vista della sostanza. C’è poi la forma».
E qui quali sono le indicazioni?
«Dal punto di vista della forma urbana, le infrastrutture ci sono. Ma la grande sfida del futuro è quella della sostenibilità: del riuso delle aree, della mobilità alternativa, del risparmio energetico».
Domani si racconteranno gli ultimi trent’anni di Trento: nel 2020, con la fine del mandato di Andreatta, si chiuderà un cerchio?
«Credo che questa sia una domanda sulla quale le forze politiche dovranno interrogarsi: in sostanza, c’è bisogno di discontinuità o di evoluzione? Personalmente, non vorrei che la parte politica decidesse di fare delle scelte di discontinuità basate solo sull’urgenza di dire qualcosa di diverso. La città non ha bisogno di rotture. Sia chiaro, non parlo di persone, che necessariamente cambiano. Ma mi riferisco alla visione di città».